Il conferimento ogni anno in questo periodo dei premi Nobel rappresenta uno dei momenti di lustro e prestigio non solo per il vincitore ma anche per l’istituzione coinvolta e per il paese tutto intero. Sapere che un proprio connazionale è stato insignito di questo alto riconoscimento è spesso motivo di orgoglio nazionale.
La Francia ha di che essere orgogliosa quest’anno visto che 2 premi – Letteratura e Economia – sono andati rispettivamente a Patrick Modiano e Jean Tirole.

L’ultimo italiano ad essere premiato è stato Mario Capecchi nel 2007 (dell’Howard Hughes Medical Institute, Usa) per il suo lavoro sulle cellule staminali (Nobel per la Medicina), mentre gli italiani che hanno ricevuto tale riconoscimento sono in tutto 20.

Tra questi, ben 8 (il 40%) sono stati premiati mentre stavano svolgendo le proprie ricerche all’estero. La percentuale è piuttosto elevata e cresce ancora di più se si prendono in considerazione solamente i premi negli ambiti delle scienze fisiche, chimiche, medicina ed economia, 8 su 13, il 62%.

In Francia solo il 15% dei premiati hanno fatto ‘carriera’ in altri paesi (8 su 53), così come in Danimarca (8%, 1 su 13) e Belgio (10%, 1 su 9).

La Germania conta ben 80 premi Nobel (di cui uno in Chimica nel 2014) e anche in questo caso i ‘cervelli in fuga’ sono il 25% del totale (20 su 80).

Olanda e Austria si posizionano vicini all’Italia avendo il 41 e 42% rispettivamente di connazionali insigniti mentre si trovavano all’estero. Da notare come molti degli austriaci fossero affiliati a degli istituti di ricerca tedeschi, vista la sovrapposizione linguistica. Per l’Ungheria il dato sale fino al 55% (5 su 9).

Questi numeri ci indicano, seppur con una certa approssimazione, che paesi come la Francia e la Germania riescono ad offrire di più rispetto all’Italia (in termini di finanziamenti e di opportunità in enti di ricerca) alle loro menti migliori, evitando così che cerchino fortuna all’estero, oppure richiamandole dopo periodi di perfezionamento in altri paesi.

È’ interessante notare come questo dato sia di estrema attualità rispetto al ben noto fenomeno della ‘fuga dei cervelli‘ che vede numerosi giovani studiosi e promettenti ricercatori essere sedotti dalle condizioni di lavoro e prospettive di carriera in università e istituti di ricerca stranieri.

Non sarebbe giusto non citare anche i casi di rientro in Italia come la recente notizia dell’immunologa Antonella Viola ma rimangono dei casi isolati e in controtendenza.

C’è bisogno di una maggiore attenzione verso coloro che trovandosi a scegliere tra allettanti opportunità negli Stati Uniti e in Inghilterra o anni di incertezza e ristrettezze, decidono di emigrare. Per questo motivo, bisognerebbe sostenere qui dipartimenti, gruppi di ricerca e professori che dopo aver formato dei giovani li vedono partire senza poter loro offrire quasi nulla. Non si deve dimenticare che alla base ci sarebbe anche bisogno di riforme al sistema degli enti di ricerca pubblici in Italia per renderlo più efficiente e meritocratico.

Non è solamente l’orgoglio nazionale ad essere in gioco, ma un paese che sappia puntare in maniera più coraggiosa sulla ricerca può beneficiare dei suoi risultati, creare nuove imprese e anche attirare investitori stranieri.

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