Una felce argentata su sfondo nero al posto di una bandiera che riporta, in un angolo, l’Union Jack, l’emblema britannico e di un impero che fu. La Nuova Zelanda va verso un cambiamento simbolico ma che è anche sostanziale, dopo la promessa del nuovo (rieletto) primo ministro, il conservatore John Key, di indire un referendum entro la fine del 2015 per cambiare, appunto, la bandiera del suo Paese. I commentatori, intanto, ne sono sicuri: senza il trionfo (mediatico) del referendum scozzese per l’indipendenza, Key non avrebbe rilanciato questa proposta, già fatta in passato ma mai stata di grande successo. Pur rinnovando la sua fiducia per le istituzioni monarchiche britanniche (la Nuova Zelanda continuerà insomma a far parte del Commonwealth), Key ora vuole fare un passo in avanti, per assicurare a una nazione dalla roboante economia una posizione più riconoscibile sul mappamondo. La motivazione ufficiale è che, al momento, la bandiera neozelandese appare troppo confondibile con le altre, di altri Paesi, che incorporano l’Union Jack. E, seconda motivazione ufficiale, tutto il mondo ormai riconosce quella felce argentata su sfondo nero, fatta propria dalla squadra nazionale di rugby, gli All Blacks, vanto in tutto il mondo del Paese agli antipodi dell’Europa. 

Sabato 20 settembre, Key, a capo di una coalizione di centrodestra, è stato rieletto con un ampio successo, garantendo il primo governo stabile, almeno secondo le previsioni, negli ultimi venti anni di storia neozelandese, dopo che il Paese adottò, nel 1996, il sistema elettorale proporzionale alla tedesca. Ma della Germania la Nuova Zelanda pare avere al momento anche la stabilità delle sue imprese e della sua economia, che a fine 2014 sarà cresciuta in un anno, secondo le previsioni che al momento reggono, del 3,8%. Un dato importante, soprattutto in un’area del mondo dalle grandi tensioni, e soprattutto dopo quel terribile terremoto, a Christchurch nel febbraio del 2011, che causò 185 morti, duemila feriti gravi e danni per miliardi di dollari neozelandesi. Ma fu proprio quel terremoto, poi, ad attrarre investimenti internazionali nel Paese, dando un nuovo impulso all’economia che si aggiunse a quello del grande successo, nell’area asiatica e oceanica e anche oltre, dei prodotti derivati dalla lavorazione del latte e delle carni neozelandesi. Ormai sulle tavole britanniche la maggior parte della carne ovina proviene proprio da Auckland, ogni giorno arrivano aerei carichi di agnelli e pecore per sfamare un Regno Unito che proprio lì impianto la pastorizia di stampo industriale. E ora la stessa Gran Bretagna guarda con curiosità al referendum annunciato: perdere la Scozia avrebbe significato grandi cambiamenti, anche economici; perdere uno spazio nella bandiera neozelandese potrebbe significare uno smacco simbolico di non poco conto. 

Ora il parlamento dovrà discutere la proposta del primo ministro Key, forte del suo successo elettorale. Se tutto andrà bene, quei tre milioni e mezzo scarsi di elettori su 4,5 milioni di abitanti potranno dire la loro sulla nuova bandiera. Quella attuale, usata per la prima volta nel 1869, fu adottata ufficialmente nel 1902 e chi ora si oppone al cambiamento dice che molti neozelandesi hanno combattuto e sono morti per essa, “sarebbe un affronto, sarebbe un’umiliazione”, sostengono soprattutto le generazioni più anziane. I giovani, intanto, continuano a seguire il rugby come gli italiani seguono il calcio, e forse anche un po’ di più. E per loro il simbolo massimo della Nuova Zelanda è, già da tempo, quella felce argentata su sfondo nero. Con buona pace per l’Union Jack.

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