È un multimilionario che si è fatto da sé, John Key, uomo del sud della Nuova Zelanda nato povero e con il desiderio di entrare in politica e guidare il suo Paese. Un sogno realizzato, visto che per la terza volta il 53enne del partito conservatore è stato riconfermato premier neozelandese con il 48% dei consensi. Elezioni da ricordare, per il partito di centro destra, visto che Key potrebbe ottenere una maggioranza in grado di garantirgli di governare da solo con il suo Partito Nazionale (centrodestra). Un panorama che non si presentava dal 1997, quando in Nuova Zelanda è stato introdotto il sistema elettorale proporzionale, che ha obbligato negli ultimi 17 anni ogni partito a formare coalizioni per potere governare. 

Una vittoria annunciata in tv circa tre ore dopo la chiusura dei seggi. Poco dopo, il suo avversario, il leader laburista David Cunliffe, ha ammesso la sconfitta e ha telefonato a Key per congratularsi. “Come molti di voi avranno capito, non saremo in grado di formare un governo. I voti per i laburisti e i Verdi non sono sufficienti per cambiare governo – ha detto Cunliffe – ho telefonato a John Key per congratularmi e ho preso atto che per questa volta continuerà ad essere il primo ministro della Nuova Zelanda”. Secondo il conteggio dei voti, il Partito Nazionale di Key potrà contare su 61 dei 121 seggi del parlamento. Il primo ministro ha dichiarato che cercherà di formare un governo con tre partiti minori: ACt, Futuro Unito e il Partito Maori. Ai laburisti, che si attestano al 25%, andranno 32 seggi. Il risultato segna un lieve avanzamento del partito conservatore che alle elezioni del 2011 aveva ottenuto il 47% (59 seggi). Rimanono fuori dal parlamento il partito indigeno Movimento Mana e l’Internet Party di Kim Dotcom

Col premier conservatore crescita al 3%
Quali sono i punti forza del multimilionario tre volte premier? I sostenitori di Key evidenziano la sua gestione dell’economia, sottolineando che la disoccupazione è scesa al 5,6%. Dati alla mano, da sei anni Key guida un Paese dall’economia florida, che ha deciso di affidarsi per la terza volta a quest’uomo d’affari sorridente e dai modi affabili, a cui è stata riconosciuta una buona gestione delle finanze pubbliche: sotto il suo governo, tra l’altro, il tasso di crescita è stato di oltre il 3%. Key, 53 anni, cresciuto a Christchurch, grande città del sud devastata da un terremoto nel 2011, ha accumulato decine di milioni di dollari lavorando per la banca d’affari americana Merrill Lynch. Nel 2001, ha deciso di realizzare il suo sogno entrando in politica per guidare la Nuova Zelanda.  L’anno successivo il suo ingresso in Parlamento, arrivando alla premiership nel 2008 e ponendo fine a nove anni di governo laburista.

Con le elezioni alle porte, lo scandalo dello spionaggio di massa
Una vittoria, quella del primo ministro conservatore, che ha dovuto superare anche un grosso scandalo scoppiato a pochi giorni dalle elezioni di sabato 19 settembre. Qualche giorno prima, infatti, John Key è stato costretto a respingere accuse di spionaggio di massa sui cittadini da parte di agenzie governative. Al centro dello scandalo uno tra i più importanti hacker informatici, Edward Snowden, che ha consegnato alla giornalista premio Pulitzer Glenn Greenwald alcuni documenti della National Security Agency (Nsa) americana che mostrano un sistema capillare di spionaggio domestico.

Una storia intricata, visto che tutti i personaggi che hanno fanno emergere il datagate – dalla “talpa” Snowden, alla giornalista premio Pulitzer – sono legati a Kim Dotcom, fondatore del sito web di file-sharing Megaupload e competitor di John Key alle elezioni presidenziali. Greenwald, infatti, era in visita in Nuova Zelanda proprio su invito di Dotcom, cittadino tedesco (vero nome Kim Schmitz), che ha partecipato alle elezioni con il partito da lui fondato, l’Internet Party, che si batte per la libertà di internet e della tecnologia. Il leader del partito di internet è ricercato per frode di copyright dagli Usa, dove rischia 20 anni di carcere. Il premier Key si era difeso dicendo che rilascerà i documenti incriminati per provare che non vi è sorveglianza di massa dei cittadini da parte del Communications security bureau del governo (Gcsb). Uno scandalo che, a elezioni concluse, non sembra  avere intaccato il suo consenso.

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