Cinema

Festival di Venezia, i vincitori. Leone d’Oro al ‘piccione’ di Andersson

Il regista svedese premiato per il miglior film. Migliore regia al russo Konchalovskji. Hungry Hearts del regista italiano vince i premi per la migliore interpretazione maschile e femminile

di Anna Maria Pasetti

Il piccione svedese che conquistò il Leone. Frase surreale che nulla è rispetto al titolo intero che si è guadagnato il massimo premio della 71ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ovvero Un piccione sedeva su una panchina riflettendo sull’esistenza – come da libera traduzione italiana dell’impronunciabile En duva satt pa en gren och funderade pa tillvaron.

Tale “piccione” vive nel profondo nord del mondo, in quella Svezia precisa ma folle, ricca di contraddizioni e umorismo nerissimo. Come quello espresso nell’opera di Roy Andersson, regista di Goteborg del 1943, corposo amante dell’arte e cinico descrittore di un’esistenza ai limiti dell’incredibile. Il suo film è il quinto lungo della sua filmografia e il terzo di una trilogia, The Living Trilogy, iniziata nel 2000 con Songs from the Second Floor (premio speciale della giuria a Cannes), continuata con You, The Living nel 2007, anch’esso a Cannes e chiusa a Venezia, in trionfo. Quindici anni per comporla e un ringraziamento speciale all’Italia: “Da questo Paese ho imparato ad amare e fare il cinema, specie da Vittorio De Sica, con il suo fondativo Ladri di biciclette”. Una favola dell’assurdo, una black comedy divisa in 39 scene e due personaggi – Sam e Jonathan – novelli Don Chisciotte e Sancho Panza, chiusi nel “trivialismo” di situtaizoni alla Monty Python e ritratte con chiare ispirazioni pittoriche, da Brueghel ai tedeschi Dix e Scholz.

Anche il Ministro culturale Dario Franceschini lo applaude ma è chiaro il suo plauso più sonoro vada alla parte tricolore di questo palmares veneziano, rappresentato dalla doppia Coppa Volpi a Hungry Hearts di Saverio Costanzo, specie quella femminile per la sua protagonista (musa e compagna di vita) Alba Rohrwacher. “Grazie alla giuria, ad Adam Driver (suo coprotagonista, l’altra Coppa Volpi di Venezia 71, ndr) con cui lavorare è stata un’esperienza facile, sorprendente e bellissima, sono felice di condividere con lui questo premio. E grazie a Saverio che è un grande regista, un artista coraggioso e tenace e questo film esiste solo perché l’ha voluto con forza e portato sulle spalle, e fare film con lui è un’intraprendere avventura, emozionante ed indimenticabile”.

Applausi scroscianti con qualche disappunto in sala stampa da cui i giornalisti hanno seguito la cerimonia: forse volevano sul palco la protagonista del film cinese Red Amnesy, ma tant’è: la “nostra” Alba – alla sua prima Coppa Volpi – ha più che meritato questo riconoscimento importantissimo. Adam Driver, americano e talentuoso, non è al Lido a ritirare la sua Coppa e viene sostituito da Costanzo che ne legge un video messaggio: “Grazie per questo onore, difficile esprimere la gratitudine e il senso di umiltà che provo, lo condivido con Alba e Saverio”, il quale da parte sua, aggiunge “e grazie anche da parte mia”. Il Belpaese però non è premiato solo con il bel film di Costanzo, ma anche col Premio Speciale della Giuria nella sezione Orizzonti. A meritarselo è il solidissimo e ovviamente dissacrante Belluscone di Franco Maresco, assente al Lido.

Di rilievo per l’edizione veneziana appena chiusa sono anche rispettivamente il Leone d’Argento per la migliore Regia andato al maestro russo Andreij Konchalovsky (Belye nochi pochtalona Alekseya Tryapitsyna, cioè Le notti bianche del postino) e il Gran Premio della Giuria andato all’americano Joshua Oppenheimer per il suo straordinario documentario The Look of Silence. Se per il regista 77enne de La casa dei matti (già premiato a Venezia) ricevere il riconoscimento veneziano è stato uno “strano sentimento, come quello di un bimbo che attende un dono sotto l’albero di Natale. In fondo siamo tutti ancora bambini – grazie a Dio – e son certo che quando usciremo da questa sala fingeremo di essere adulti” per il cineasta americano nato nel 1974, conquistarlo è stato un atto di enorme commozione, espressa anche da lui in video messaggio, essendo rimasto bloccato a Chicago da una tempesta.

“Quanto vedete in The Look of Silence è una tragedia ancora in atto, ovvero quella che richiama il genocidio perpetrato dai militari sui comunisti in Indonesia tra il 1965 e il 1966. Questo premio lo condivido con Adi, il protagonista che ha meriti infiniti, e spero aiuti per iniziare a chiedere scusa per quel genocidio efferato. Noi occidentali siamo tutti colpevoli, dobbiamo riconoscere le nostre responsabilità collettive rispetto a questi crimini”. Oppenheimer è stato candidato all’Oscar lo scorso anno per il primo documentario sul medesimo tema, The Act of Killing, altrettanto straordinario.

Ad opere prime o seconde sono andati invece i rimanenti premi: il premio Speciale della Giuria a Sivas, esordio “cazzuto” di Kaan Müjedci che racconta di una Turchia provinciale e scomodissima attraverso gli occhi di un bimbo, “proprietario” di un cane combattente e il premio Marcello Mastroianni a un giovane attore o attrice emergenti andato al 15enne francese Romain Paul, protagonista del sensibile Le dernier coup de marteau, opera seconda di Alix Delaporte. All’Iran è invece andato il premio alla miglior sceneggiatura vinto da Tales della regista veterana Rakhshan Banietemad, mentre all’indiano Court di Chaitanya Tamhane è finito sia il premio come miglior film di Orizzonti che quello per l’opera prima Luigi De Laurentiis.

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