L’Iraq è sull’orlo del caos. Da un lato il premier Nur al Maliki, alla ricerca del terzo mandato, sfida il presidente Fuad Masum e schiera l’esercito nelle strade di Baghdad; dall’altro la sua stessa maggioranza lo scarica: Haider al-Abadi, politico del partito iracheno ‘Dawa’ (in italiano “Stato di Diritto“) e primo vice presidente del Parlamento di Baghdad, è il candidato proposto da 130 parlamentari dell’Alleanza nazionale sciita per la successione ad al Maliki. In seguito all’investitura, il presidente Masum ha incaricato ufficialmente al Abdi di formare il nuovo governo iracheno. La risposta arriva poco dopo: la nomina di al Abadi “non ha valore“. Lo scrive il partito dello “Stato di diritto” cui al Maliki appartiene sulla sua pagina ufficiale di Facebook. Maliki, intanto, resta premier ad interim fino a quando al-Abadi formi il nuovo governo, ovvero per circa una trentina di giorni ancora. L’emittente Al Jazeera fa poi sapere che Maliki intraprenderà un’azione legale per impedire ad al-Abadi di assumere l’incarico, mentre i suoi alleati parlando di “cospirazione curdo-americana”. E la crisi irachena è stata al centro anche del colloquio telefonico tra il presidente Usa, Barack Obama, e il premier italiano Matteo Renzi. I due hanno messo in evidenza l’urgenza “degli sforzi per rispondere alla minaccia che l’Isis pone a tutti gli iracheni”. Lo afferma la Casa Bianca, sottolineando che Renzi ha espresso il proprio appoggio per gli sforzi americani in Iraq.

Ban Ki-moon: nomina di al-Abadi è un passo avanti
La decisione di Masum di chiedere a al-Abadi di formare un nuovo governo è stata accolta dal segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon come “un passo avanti verso la formazione di un governo in Iraq”. Una scelta che “incoraggia al-Abadi a formare un governo accettabile per tutte le componenti che costituiscono la società irachena”. 

Al Maliki vuole il 3° mandato, ma paga le sue politiche contro i sunniti
Come si è determinato lo stallo politico-istituzionale? Il partito di al Maliki ha vinto le elezioni di aprile e il premier preme per ricevere l’investitura presidenziale necessaria per il terzo mandato. Ma la resistenza alla sua riconferma si va rafforzando sia in Iraq sia nella comunità internazionale, con gli Stati Uniti che premono affinché al Maliki si faccia da parte. La politica del suo governo è vista da più parti come una delle principali cause dei successi politici e militari dello Stato Islamico: a finire sotto accusa le politiche di discriminazione nei confronti dei sunniti che hanno indotto parte di essi a simpatizzare con i jihadisti. In base ad accordi non scritti, in Iraq la carica di premier spetta a uno sciita, quella di presidente del Parlamento a un sunnita e quella di presidente della Repubblica a un curdo. Nonostante le ultime due cariche siano già state assegnate, la guida del governo rimane vacante. 

Baghdad, l’esercito in strada
Domenica sera un enorme dispiegamento delle forze di sicurezza irachene, tra polizia, esercito e unità antiterrorismo, è stato schierato intorno alla “zona verde” di Baghdad, l’area fortificata dove hanno sede molti uffici governativi e diverse ambasciate. Lo spiegamento è iniziato verso le 20.30, un’ora e mezza prima che al Maliki, a caccia del terzo mandato, annunciasse alla televisione di Stato l’intenzione di denunciare il presidente per aver violato la Costituzione, colpevole a suo giudizio di non favorire la formazione di un nuovo governo. Le misure di sicurezza adottate sono considerate “insolite” dagli stessi responsabili della polizia irachena perché “assomigliano a quelle che si impongono in situazioni di emergenza“. Forti i timori che la situazione possa degenerare in un colpo di Stato. La Corte federale irachena ha riconosciuto che il partito del premier, lo Stato del Diritto, è il vincitore delle ultime elezioni, e quindi al Maliki può ottenere nuovamente l’incarico. Lo scrive l’agenzia Nina. In seguito al pronunciamento della Corte, centinaia di sostenitori di al Maliki sono scesi in piazza a Baghdad per chiedere che gli venga concesso un terzo mandato.

Nove morti a Baghdad e dintorni
E’ di almeno 9 morti il bilancio di diversi attacchi che si sono verificati a Baghdad e nei dintorni nonostante l’innalzamento del livello di sicurezza. Lo riferiscono fonti di polizia coperte dall’anonimato. Nel sobborgo occidentale di Abu Ghraib colpi di mortaio hanno ucciso sei civili e ne hanno feriti 11. Nella città di Youssifiyah, 20 km a sud di Baghdad, i militanti hanno aperto il fuoco contro un posto di blocco dell’esercito, uccidendo due soldati e ferendone tre. Inoltre una bomba è esplosa in un mercato all’aperto nel distretto orientale di Zafaraniyah, causando un morto e sette feriti. 

Mogherini: “L’Italia sta valutando un piano per inviare armi ai curdi”
Nessun intervento militare diretto in Iraq, ma un sostegno più efficace, “anche militare“, per aiutare il governo del Kurdistan iracheno a contrastare l’avanzata dei jihadisti dell’Isis e rendere possibile la creazione di corridoi umanitari: in sostanza fornire armi e munizioni ai peshmerga, come sperato dal presidente curdo Massud Barzani. Il governo italiano sta delineando, con i ministri degli Esteri Federica Mogherini, e della DifesaRoberta Pinotti, le possibili iniziative da mettere in campo. Ma serve “un’iniziativa europea”, ha spiegato la titolare della Farnesina che, così come il francese Laurent Fabius, ha scritto una lettera all’Alto Rappresentante per la politica estera Ue per valutare la possibilità di fornire armi ai curdi. Ma in Europa non tutti concordano: Berlino vuole limitarsi ad aiuti umanitari. Lo ha spiegato oggi in conferenza stampa una portavoce del ministero degli Esteri, sottolineando che la consegna di armi ai curdi del nord Iraq non è in questione al momento. 

Onu all’esercito: “Non interferisca con il processo politico”
Il dispiegamento di forze è stato stigmatizzato dall’inviato dell’Onu a Baghdad, Nicolay Mladenov: “Le forze di sicurezza devono astenersi da ‘interferenze’ nel processo ‘politico democratico’ dell’Iraq”. Mladenov ha invitato anche al Maliki a “rispettare le responsabilità costituzionali del presidente della Repubblica”. “Il presidente iracheno esercita le proprie funzioni in base alla Costituzione e nel rispetto del processo politico democratico”, ha detto Miladinov, “fiducioso” che il curdo Masum “darà al principale blocco politico” in Parlamento la possibilità di “nominare un candidato per l’incarico di primo ministro, che formerà un governo inclusivo che goda di ampio consenso e sia accettabile per tutte le componenti della società”.

Kerry: “Washington sostiene il presidente Masum”
Un invito alla calma arriva anche da John Kerry: “Le fazioni politiche non dovrebbero usare la forza mentre si prepara la formazione di un nuovo governo”, ha detto il segretario di Stato americano che ha ribadito oggi il sostegno di Washington al presidente Masum, mettendo in guardia Al Maliki di non aggiungere una crisi politica alle emergenze militari e umanitarie. 

Deputata Yazidi: “Ogni giorno muoiono 50 bambini”
La situazione sui monti Sinjar resta estremamente critica. “Circa 50 bambini muoiono ogni giorno” per mancanza di acqua e di cibo tra le migliaia di rifugiati Yazidi in fuga dallo Stato islamico e ancora bloccati sulle montagne intorno a Sinjar. Lo ha detto Vian Dakhil, deputata della comunità, aggiungendo che “molti altri moriranno” se non saranno raggiunti dagli aiuti umanitari. 

Stati Uniti: “Aiuti militari ai curdi”
Sul fronte della lotta contro i ribelli islamici dell’Isis comincia a delinearsi la strategia degli Stati Uniti, che non si limiterà ai raid aerei annunciati da Barack Obama e già avviati dal Pentagono. Washington ha cominciato a fornire armi direttamente alle forze curde in Iraq, che hanno iniziato a ottenere vittorie contro l’Isis dopo avere perso terreno rispetto ai militanti. Lo riferiscono fonti ufficiali degli Stati Uniti. Finora la Casa Bianca aveva insistito sul fatto che stava vendendo armi solo al governo iracheno. Storicamente la Cia ha compiuto operazioni del genere. Inoltre le fonti aggiungono che l’amministrazione è vicina all’approvazione di piani perché il Pentagono armi i curdi. Recentemente l’esercito Usa ha aiutato ad agevolare le consegne di armi dagli iracheni ai curdi.

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