All’inizio furono le 3 I (Inglese, Informatica, Impresa), poi venne la scuola 2.0. Nelle prime informazioni fornite da sottosegretario Roberto Reggi sulla riforma del ministero Giannini, si parla invece dell’Informatica come di una “attività specializzata” che permetterebbe ai docenti di aspirare ai premi stipendiali, ma sembra il solito fumo negli occhi, ed ecco perché.
L’Informatica prevede conoscenze articolate e competenze che vanno dalla programmazione con diversi linguaggi alla conoscenza dei protocolli di trasmissione dati e dei problemi di cifratura, dalla gestione di un server alla progettazione di reti cablate e wireless, etc. Per farla breve, una formazione a livello di ottimo diploma tecnico o di laurea in Informatica e affini, che possiamo stimare sia patrimonio al massimo del 10% dei docenti (e ancor meno dei dirigenti, che dovrebbero attribuire i premi). Se parliamo invece di competenze digitali (saper usare pc, editor di testo, fogli di calcolo, strumenti di presentazione e basi dati, navigare in rete e usare la posta elettronica), tutti i docenti, con la formazione e la pratica, potrebbero acquisirle e conseguire una certificazione Ecdl.
Ma nella prospettata riforma si parla di “attività specializzate”, quindi sembra ci si riferisca alla didattica digitale, che tuttavia, è ben più che usare il registro elettronico, far lezione con presentazioni o video, scambiarsi e-mail e file, aprire il profilo “social” della classe o assegnare agli allievi ricerche in rete o la creazione di file digitali. Dovrebbe prevedere l’e-learning, la collaborazione online e l’uso della Lim, e l’uso da parte degli allievi come strumenti di lavoro di fogli di calcolo, software specifici per le singole discipline, simulazioni al calcolatore, applet scientifiche (che permettono di modificare variabili e parametri osservando gli effetti) e in alcuni casi esperienze di domotica e robotica.
Di tali profili parleremo in dettaglio prossimamente su questo blog, ma appare evidente che per essere in grado di fare didattica digitale occorrono competenze ben maggiori di quelle certificate Ecdl, pur non necessitando una laurea in Ingegneria o in Informatica. Il fatto è che, poiché tali competenze non sono state richieste all’atto dell’assunzione, dovrebbe essere il datore di lavoro (Miur) a fornire specifiche conoscenze ai dipendenti. Ed ecco il fumo negli occhi: premiando solo alcuni insegnanti per le loro attività (e quindi competenze) informatiche, il governo apparirebbe modernizzatore con costi ridotti, spingendo i docenti a darsi individualmente da fare, a proprie spese, per acquisire la conoscenza che potrebbe portare l’aumento stipendiale (comunque soggetto al vaglio dei Dirigenti scolastici e probabilmente limitato giocoforza solo fino a concorrenza di una certa cifra o percentuale, come già i premi al merito della proposta Gelmini).
Ma oggi già gli insegnanti spendono di tasca propria per pc e supporti di memoria, corsi di aggiornamento, patentino Ecdl e connessioni Internet domestiche, e alcuni di essi inseriscono novità digitali nelle lezioni, mentre altri vorrebbero farlo ma non possono sopportare tutte le spese. Il risultato di tale impegno e investimento di risorse, peraltro, è spesso insoddisfacente, perché disorganico ed estemporaneo, ma soprattutto per l’inadeguatezza dei tablet in dotazione ai docenti e dei dispositivi e sistemi informatici che ancora persiste in molte scuole e che rende frustrante anche l’uso dei registri elettronici.
Una vera riforma dovrebbe prevedere invece – a spese dello stato e per tutti gli insegnanti – la formazione in informatica e in didattica digitale, nonché strumenti di lavoro hardware e software adeguati. Ma con una simile scelta non si potrebbe legare l’aumento solo alle “attività specializzate” riuscendo a far passare un messaggio di miglioramenti retributivi mentre in realtà si aumentano le ore di presenza a scuola a parità di retribuzione.