Chiedi chi erano i Beatles e Richard Lester ti risponderà. Si conclude davanti a più di 4000 persone la due giorni italiana dell’82enne regista americano che dei Fab Four divenne 50 anni fa il loro punto di riferimento cinematografico, prima di diventare regista di Superman II e III, Cuba con Sean Connery e I Tre Moschettieri, e di vincere una Palma d’Oro a Cannes nel 1965 con The Knack …and How to Get It.

Alla 28esima edizione del Cinema Ritrovato di Bologna in compagnia di Lester la proiezione gratuita di A hard day’s night, nel giorno del suo cinquantennale (il 6 giugno 1964 ebbe la sua prima davanti alla regina d’Inghilterra ndr), ha sbancato una Piazza Maggiore entusiasta che ha guardato verso lo schermo più grande d’Europa il primo baldanzoso esordio al cinema del quartetto di Liverpool, battendo il tempo di brani immortali come You can’t do that, If I fell, And I love her.

“Avevo girato un cortometraggio – The Running Jumping & Standing Still Film – con protagonista Peter Sellers e Spike Milligan allo script”, spiega il regista di A hard day’s night, talmente entusiasta dell’accoglienza a Bologna che in poche ore ha cambiato la sua foto dal profilo di Wikipedia aggiungendo uno suo scatto dalla piazza, “John Lennon lo vide e lo amò molto per la vena surreale. Quando la United Artists chiese al gruppo di preparare un film per supportare l’uscita del loro terzo album, John pensò subito a me come regista”.

Tre settimane e mezzo di riprese nel marzo 1964, film montato e impacchettato entro l’estate e il primo successo cinematografico commerciale e di critica dei Beatles fu servito. “Era il momento ideale per riprenderli, avevano ancora una freschezza incredibile”, continua Lester, “erano appena tornati dall’apparizione all’Ed Sullivan Show che li resi divi anche negli Stati Uniti. Il copione era pronto, girammo un attimo prima che nascesse la Beatlesmania a livello mondiale”. Per chi ricorderà i primi tamburellanti cinque minuti di film, avrà ben stampato nella memoria cosa significasse per i Fab Four la pazzia di fan urlanti e in delirio ad ogni angolo della strada. “Scrivemmo un film che rappresentasse una giornata tipo di John, Paul, George e Ringo: conferenze stampa, prove, live in tv, donne bionde e sandwich a go-go. Aggiungemmo un po’ di surrealismo legato alle gag comiche che li fece stare a loro agio. Per il concerto registrato nello studio tv usammo sei cineprese. Sapevamo che i ragazzi non si sarebbero sentiti suonare per il frastuono perenne del pubblico. Il cinereporter posizionato in mezzo al pubblico delirante dovette subire talmente tanto rumore in due giorni di ripresa che appena poté prese una pausa per andare dal dentista visto che dalle vibrazioni e dallo stress gli stavano cadendo quattro denti”. Gli aneddoti su quei giorni si sprecano: “Ringo era quello che veniva più preso in giro dagli altri; John era quello più spontaneo nel ruolo di attore; George era forse quello più dentro all’intera operazione del film. Tutti e quattro però erano caratterialmente più simili tra loro di quanto hanno riportato i loro biografi. Ognuno sosteneva e tutelava l’altro, erano molto uniti. Un po’ come il titolo italiano del film – Tutti per uno – che peraltro mi ricorda il motto dei ‘quattro moschettieri’ film che girai successivamente. È stato un privilegio fare parte di quel meccanismo”.

Anche se poi con Help (1965) Lester diresse nuovamente i quattro senza lo stesso successo e con How I won the war (1967) diresse Lennon protagonista: “È vero A hard day’s night è influenzato dalla poetica e dallo stile della Nouvelle Vague. Ero entusiasta di Fino all’ultimo respiro di Godard e I quattrocento colpi di Truffaut. C’è un legame diretto con loro, soprattutto nel montaggio. Nel film c’è anche qualcosa alla Buster Keaton con cui ho lavorato poi nel 1966”.

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