Perché la Fifa ha tanto (troppo?) severamente punito Luis Suárez? Se – in linea con quanto i vostri occhi v’hanno raccontato – la vostra risposta è: “perché nel corso d’una partita ha azzannato un difensore avversario”, evitate di visitare l’Uruguay almeno fino a quando l’eco di questo Mundial brasiliano non si sia del tutto spenta. E se, per impellenti ragioni, proprio non potete rimandare il viaggio, ricordatevi, una volta sbarcati a Montevideo, d’attenervi rigorosamente a quella che dei fatti è la versione ufficiale. Anzi: ufficialissima, visto che a presentarla è stato, ieri, lo stesso presidente della Republica Oriental de l’Uruguay, José ‘Pepe’ Mujica, nel corso d’una breve intervista telefonica con il ben noto Diego Armando Maradona, in questi giorni impegnato a condurre, per Telesur, una trasmissione intitolata ‘De Zurda, di sinistro, e dedicata proprio ai mondiali (clicca qui per il video della puntata).

Tale versione ufficiale recita più o meno così: Luis Suárez è stato punito per vendetta. E molto semplici sono le vere ragioni di questa impietosa rivalsa. Il ‘pistolero’ ha, senza colpe, pagato il fatto d’esser nato in povertà in un paese che, oltre ad avere avuto il molto recente torto d’eliminare dal Mundial due superpotenze come l’Inghilterra e l’Italia, assai poco incide, per le sue minuscole dimensioni, sull’enorme giro d’affari dei diritti televisivi calcistici. ‘Sentiamo – ha detto Mujica nel rustico stile che tante simpatie gli ha creato – che c’è in questa decisione un’aggressione contro tutti i bambini che vivono in povertà (‘los pibes del pobrerío”), perché a questo ragazzino (“botija”) non perdonano di non avere frequentato l’università, di non avere educazione (‘no está formado), perché cresciuto nei piccoli campi di periferia (‘los campitos’) e si porta dietro la lo spirito di ribellione (‘la rebeldía’) ed i dolori di quelli che vengono dal basso (‘de los que vienen de abajo’)…’.

Suárez ha addentato un giocatore rivale? Bazzecole ha aggiunto Mujica, completando la sua lezione di fair play calcistico tra i sempre più entusiastici assensi di Diego Armando (che, per l’occasione indossava una t-shirt con la scritta ‘Luisito estamos con vos’). In questo Mundial si sono viste cose ben peggiori. E lui, ‘el Pepe’, è vecchio abbastanza per ricordarsi i tempi nei quali in campo ‘si usavano gli aghi’ per ferire gli avversari, e si tirava loro terra negli occhi prima dei corner. ‘Los tanos’, gli italiani – ha tenuto a precisare il presidente uruguayano – sono sempre stati maestri (‘campeones’) in questo tipo di pratica (‘en hacer calentar a la gente’). Sicché non vengano adesso a darci lezioni di moralismo ‘barato’, a buon mercato.

Questo disse Mujica a Maradona. E la sua voce arrivava non da un qualunque ufficio del palazzo presidenziale, o dalla sua ormai famosa ‘chacra’ del Rincón del Cerro, ma dall’aeroporto di Carrasco, dove il presidente s’era recato insieme ad una molto consistente folla imbandierata, per dare degna accoglienza all’eroico figlio della Patria ingiustamente cacciato dal Mundial. E proprio questo credo si debba considerare prima di chiedersi che cosa abbia spinto un presidente universalmente amato per i suoi alati discorsi sulla povertà e sulla necessità d’un mondo diverso e migliore – un ‘uomo saggio’ lo ha giustamente definito papa Francesco – a dire cose che, a prima vista, parrebbero appartenere ad una classica disputa tra tifosi un po’ alticci nel furore d’una tipica disputa da bar sport. Con l’aggiunta – dopo un ultimo ‘bianchino’ – d’una forte dose di populismo pauperista giustificazionista (“la colpa non è sua, la colpa è dell’ingiustizia sociale”) in questo caso davvero “barato”, anzi, “baratisimo”, specie considerato l’oggetto della misericordia. Ovvero: un giocatore di calcio che certo viene (come quasi tutti, del resto) dai “campitos di periferia”, ma che da molti anni appartiene alla più alta élite finanziaria del football.

Difendendo il “morsicatore seriale” Luis Suárez di fronte a Maradona – un altro ‘pibe’ salito dal ‘pobrerío’ che oggi naviga nei petrodollari – Mujica parlava davvero, forse per la prima volta da quando è presidente, a nome d’un popolo intero, ricchi e poveri, che sta nella sua globalità vivendo con molto epici accenti gli accadimenti di questi ultimi giorni. Prima con l’epica della vittoria. Ed ora con l’epica dell’assedio. Quando, giovedì mattina, s’è diffusa la notizia (fuori dall’Uruguay da tutti data per scontata) delle sanzioni Fifa contro Suárez, molti dei quartieri di Montevideo si sono riempiti di ‘cacerolazos’. E – via Twitter – tutti i dirigenti di tutte le forze politiche, nonché illustri intellettuali d’ogni tendenza hanno quasi all’unisono gridato: no pasaran. Tutti, anche il principale quotidiano del paese – il molto paludato “El País” – che domani offrirà ai suoi lettori un grande de poster del morsicatore, con la scritta: ‘Somos todos Suárez’…

Che dire? Questi ultimi eventi, lo confesso, m’hanno un po’ frastornato. Ma più ascolto quel che si dice in giro e – guardando anche all’Italia ed al processo-linciaggio contro Mario Balotelli, dalle italiche plebi additato come grande colpevole della disfatta di Natal – più mi convinco d’aver preso un colossale granchio. Giorni fa, commentando la vigilia dei mondiali – ancora marcata da proteste e disordini – avevo scritto che il calcio non è l’oppio dei popoli. Sarebbe stato molto più giusto capovolgere completamente l’equazione e riconoscere che, in effetti, sono i popoli ad essere l’oppio del calcio…

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