Un vecchio trucco, un flusso di monnezza dalla Campania alla Puglia, una manciata di cave pronte a seppellire veleni. Sembra di rivivere gli anni ’80 e ’90 alla moviola scorrendo le novantasei pagine dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere che ha colpito quattordici imprenditori, eseguita dal Noe e dalla Dia di Bari. Un girobolla, impianti che trattavano solo sulla carta i rifiuti, crateri scavati velocemente e riempiti con scarti della differenziata, mescolati con la parte peggiore, l’umido. E una ruspa, che alla fine dei lavori ricopriva tutto, spacciando per “ripristino ambientale” un gigantesco sversamento di monnezza.

Oggi come allora, come se nulla fosse cambiato nell’Italia dei traffici. L’inchiesta conclusasi questa mattina era nata lo scorso anno, quando i carabinieri del Noe notarono lo sversamento di interi camion di materiale scuro in crateri aperti nelle campagne pugliesi. Bastò seguire il percorso a ritroso per trovare l’origine di quel materiale, un impianto di compostaggio a Bisaccia, il Biocompost Irpino, in provincia di Avellino. La verifica successiva dei locali dell’impresa ha portato alla scoperta di quello che per la Dda era un trattamento solo apparente, con il presunto ammendante mischiato ai resti plastici della monnezza, intriso di percolato: “Lo stabilimento non ha né prima del 12 luglio 2013, né successivamente mai prodotto materiale qualificabile come compost; ciò in considerazione dell’assoluta mancanza delle attrezzature tecnologiche necessarie e dell’inesistenza dei processi di trasformazione puntualmente indicati nelle relazioni del consulente”, annota il Gip nell’ordinanza di custodia cautelare.

Trasportare monnezza verso le buche delle campagne pugliesi era la normale prassi. I pedinamenti dei carabinieri e le intercettazioni telefoniche raccontano di decine di viaggi, che finivano con lo sversamento dei materiali mai trattati, partiti dalla Campania:

Giuseppe Zenga: Ma cosa dobbiamo prendere il tritato? (“rifiuti indifferenziati avente codice CER 19.12.12”, annotano i carabinieri)
Gerio Ciaffa: Dovete prendere …. il bagnato (ndr rifiuti speciali umidi) eeeee ….. oggi è tutta roba bagnata. Capito?

Quel flusso di materiale verso la campagna pugliese era solo la punta dell’iceberg. In pochi mesi il Noe ha scoperto almeno altre due direttrici, provenienti dalla società Sele Ambiente di Battipaglia e dalla Ilside di Caserta. In questo caso il materiale era composto sostanzialmente da rifiuti provenienti dagli impianti di trattamento meccanico. Dopo un primo passaggio in capannoni a Foggia, il materiale veniva “sistematicamente smaltito in cave in disuso, in terreni agricoli nonché in aree protette ubicate in territori pugliesi, campani e lucani, mediante tombamento, abbandono o, in tal uni casi, incendio dei medesimi in cave non autorizzate e in aperta campagna”. In altre parole lo stesso identico sistema utilizzato fin dalla fine degli anni ’80 dai trafficanti legati ai clan. I mezzi – raccontano le informative dei carabinieri – si riuniva a notte inoltrata in aree di stoccaggio, partendo scortati da automobili, cercando di evitare i controlli e utilizzando solo le vie secondarie. Una volta scaricati i rifiuti iniziavano gli incendi, documentati dal Noe: una tanica di benzina, le prime fiamme, e poi il fumo denso che si alzava tra le campagne. A capo dell’organizzazione – che avrebbe gestito un fatturato di circa dieci milioni di euro – c’era per i magistrati il pugliese Pasquale Del Grosso, ucciso in un agguato ad Ascoli Satriano lo scorso gennaio. Era lui, per i carabinieri, a coordinare l’intero traffico, mantenendo i rapporti anche con le aziende campane. In passato Del Grosso era già stato coinvolto in una indagine per associazione mafiosa (poi derubricata in associazione per delinquere) e traffico illecito di rifiuti.

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