Insufficiente e addirittura da bocciare in alcune parti per la Cgil. “Un primo passo avanti nella giusta direzione”, per un giuslavorista di opposto orientamento come Pietro Ichino. Comunque non risolutivo, come del resto aveva già valutato a caldo l’economista Tito Boeri: perché l’estensione dei contratti a tempo determinato fa discutere, ma certo non basta a sbloccare la complessa situazione del mondo del lavoro italiano. Sul Jobs Act presentato per sommi capi da Matteo Renzi la settimana scorsa, non ci sono ancora certezze, in attesa del testo del decreto legge, e soprattutto (ma qui i tempi sono più lunghi) della concretizzazione della legge delega affidata al governo. E già non mancano le polemiche.

Sul piede di guerra sono soprattutto i sindacati. Susanna Camusso, leader della Cgil, ha attaccato il premier e respinto le sue proposte. Ora Nicola Marongiu, responsabile Lavoro Cgil, spiega nel dettaglio a ilfattoquotidiano.it perché il Jobs Act rischia di generare “ulteriore precarietà”. Nel mirino ci sono soprattutto i contratti a tempo determinato, che il governo intende rende rinnovabili senza interruzioni e senza vincolo di causalità, fino a tre anni. Una misura che il sindacato giudica contraddittoria e pericolosa: “Così snaturiamo un tipo di contratto che nasce per precise esigenze tecnico-produttive. Ma quali esigenze durano così tanto?”, si chiede Marongiu. Le imprese, forse, potrebbero beneficiarne. Meno i lavoratori: “Rischiamo di metterli in una condizione di estrema difficoltà: non si può vivere con contratti che vengono rinnovati magari anche di settimana in settimana”. Di positivo, invece, c’è il tetto del 20% sul numero totale dei dipendenti, che dovrebbe quantomeno impedire l’abuso da parte delle aziende.

Pietro Ichino, però, ribalta il punto di vista. “Questa scelta del governo Renzi è la conseguenza diretta del muro opposto dalla sinistra del Pd e dalla Cgil all’idea di un contratto a tempo indeterminato a protezioni progressive. Alle imprese serve la possibilità di offrire contratti senza un eccesso di vincoli “, spiega l’ex senatore Pd, adesso in quota Scelta Civica. “Spero che i sindacati si ricredano su questo punto e mi pare ci siano delle aperture in tal senso. Se davvero venisse meno il veto, il governo farebbe meglio ad abbandonare la strada dei tempi determinati e concentrarsi su questa riforma più profonda“.

Le misure sull’apprendistato, invece, andranno messe alla prova del campo.  “Il costo contributivo di questo contratto è già minimo, ridurlo di più non avrebbe senso. Il canale d’ingresso nel tessuto produttivo non decolla per il modo in cui esso è regolato”, è l’opinione del professore ordinario di Diritto del lavoro all’Università di Milano. Bene, dunque, una semplificazione delle pratiche, anche se potrebbe non bastare. Marongiu punta il dito sui limiti dell’approccio scelto dal governo: “Anche qui siamo di fronte ad una distorsione: l’apprendistato è un contratto a causa mista, di impiego e formazione, superare completamente la seconda componente è un po’ strano. Si rischia di fare entrare gli apprendistati in competizione con i contratti a tempo determinato”. E poi c’è la questione dell’eliminazione del vincolo di riconferma dei precedenti apprendisti: “Era la cartina di tornasole per verificare il funzionamento dello strumento e la serietà delle aziende, è sbagliato rinunciarvi”. Il resto dei provvedimenti verrà dalla legge delega affidata al governo. E, nota Ichino, “il testo per ora sembra formulato a maglie molto larghe. Se il suo contenuto non verrà reso più preciso e stringente prima della presentazione al Parlamento, sarà quest’ultimo a doverlo fare”. Con tutti i rischi del caso. 

Infine il capitolo sugli ammortizzatori sociali. Anche qui, però, difficile fare un discorso sui principi. “Sembra si vada verso un allargamento e questo è un aspetto positivo”, commenta la Cgil. “Come l’estensione dell’Aspi anche ai Co.co.co. Però manca un ragionamento sulle partite Iva (che non a caso sono in agitazione, anche per l’esclusione dai tagli Irpef, ndr) e sulle gestioni separate”. Via libera, poi, per il superamento della cassa integrazione in deroga, bocciata da ogni parte. Ma, avverte Marongiu, “è importante che le risorse che fino a ieri il governo destinava ad essa restino nel sistema. Dev’essere un’ottimizzazione, non un risparmio”.

Ancora presto, dunque, per giudizi definitivi. “Probabilmente un effetto sui valori occupazionali ci sarà, ma a favore dei tempi determinati e a scapito degli ormai sempre più rari contratti indeterminati”, conclude Ichino. Il tutto, comunque, in attesa dell’esito dei lavori parlamentari. E poi della verifica dell’effettivo impatto sul mondo del lavoro. Più che un’incognita.

@lVendemiale

Articolo Precedente

Più lavoro ma precario: Hartz IV e Jobs act, i programmi che uniscono Renzi e Merkel

next
Articolo Successivo

Camusso: “Il governo Renzi ha esordito malissimo sulle regole del lavoro”

next