Sfruttando il caso di omonimia, avrebbe detto di essere cugino di Pietro Grasso, presidente del Senato e ex capo della Direzione nazionale antimafia. Ma non solo. Secondo le accuse, con le sue vittime, l’agente di polizia municipale di Reggio Calabria Pietro Grasso ha millantato di avere importanti conoscenze politiche, rapporti con magistrati e contatti con uomini dei servizi segreti. Insomma il vigile Grasso si sarebbe presentato come “l’uomo della Provvidenza” e, in una delle città dove il tasso di disoccupazione supera il 40%, sarebbe stato in grado di garantire un posto di lavoro a chi non ce l’aveva. Il tutto, però, a un prezzo che l’agente di polizia municipale avrebbe giustificato come mazzetta da pagare al potente di turno. Si tratta di assunzioni nel corpo dei vigili urbani, al Comune di Reggio Calabria, ma anche in altri uffici.

Il copione era sempre lo stesso: Pietro Grasso, secondo l’accusa, avvicinava le vittime prospettando loro la possibilità di un’assunzione se però, avessero unto gli ingranaggi giusti. E’ a questo punto che saltano fuori i nomi degli amici e dei parenti inesistenti. “Sono il cugino del presidente del Senato”. E ancora: “Ci parlo io con quel politico (o quel dirigente o quel magistrato, ndr). Sono tutti amici miei”. Simili affermazioni hanno convinto alcuni cittadini a sborsare dai 5 ai 15mila euro per concorsi mai banditi o per assunzioni mai programmate dal Comune di Reggio Calabria.

Ora Grasso ha ricevuto un avviso di garanzia e la sua abitazione è stata perquisita da Guardia di finanza e polizia municipale, sotto il coordinamento del pm Stefano Musolino. “Emergono – scrivono gli investigatori in un’informativa depositata in procura il 12 marzo – significativi elementi che descrivono la condotta artificiosa e fraudolenta dell’indagato, il quale (approfittando della credibilità che deriva dalla sua funzione e millantando rapporti intensi con pubblici funzionari, dirigenti della pubblica amministrazioni e titolari di cariche pubbliche) si è fatto consegnare significative somme di denaro da ingenui cittadini che, nella situazione di crisi occupazionale, speravano di conseguire per sé o per i propri congiunti, stabili attività lavorative o altri tipi di analoghe remunerazioni”.

Una storia che sarebbe potuta andare avanti per anni. Almeno fino a settembre 2013 quando la prefettura e i commissari del Comune di Reggio Calabria, sciolto per mafia, hanno chiamato il comandante della polizia provinciale Domenico Crupi a dirigere anche il corpo della polizia municipale. Appena insediato Crupi ha allontanato Pietro Grasso dal reparto radiomobile, dove prestava servizio, trasferendolo (nonostante le resistenze sindacali) all’ufficio anagrafe di Archi, nella periferia nord di Reggio. Dopo la perquisizione, per l’agente indagato sono scattate le ferie d’ufficio, gli sono stati ritirati tesserino e pistola ed è stata chiesta la sospensione immediata dal servizio con apertura di un’inchiesta disciplinare.

Nella sua abitazione, infatti, la guardia di finanza ha trovato elementi utili alle indagini: carte intestate e timbri che riscontrerebbero il giro d’affari del vigile urbano confermando l’ipotesi accusatoria del sostituto procuratore Stefano Musolino. A questo proposito, leggendo il decreto di perquisizione firmato dal magistrato, emerge chiaramente che l’indagine potrebbe allargarsi ad altri soggetti. A indagare la Direzione distrettuale antimafia. Un particolare che fa immaginare scenari molto più inquietanti.

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