Nel giugno di quest’anno Germania, Austria e Repubblica Ceca sono state investite da una grande alluvione che ha causato vittime e gravi danni. Nel gennaio era stato il Reno a mettere in ginocchio il territorio tedesco. Nel luglio 2012 il nord della Germania aveva subito un altra gigantesca alluvione. Gli eventi atmosferici sono sempre più estremi e colpiscono anche i paesi che non hanno rinunciato a governare il territorio e presentano un assetto ordinato ed efficiente.

Lunedì sera in Sardegna sono caduti 20 centimetri di pioggia in 3 ore: una quantità impressionante che avrebbe messo in crisi, appunto, anche paesi più virtuosi del nostro. Questa constatazione oggettiva non è una attenuante per le responsabilità dei poteri dello Stato; è invece un’aggravante che punta l’indice sull’irresponsabilità di chi in Italia esercita il potere. Molti paesi dell’Europa stanno infatti affrontando con politiche mirate il fenomeno degli eventi atmosferici estremi che saranno sempre più frequenti. Da noi no, si continua a devastare il territorio senza essere sfiorati dal minimo dubbio. Per questo trovo offensive della memoria delle vittime le parole di circostanza delle autorità. Parlano di fatalità. Sarebbe un termine accettabile soltanto se avessero compiuto con rigore il dovere di affrontare i cambiamenti climatici. Invece portano avanti politiche scellerate che sono la causa vera dei disastri.

Il decreto del Fare del presidente del consiglio Letta prevede (articolo 37) le zone a “burocrazia zero”, zone in cui con la scusa della crisi economica si può aprire una fabbrica o un albergo in spregio anche delle norme paesaggistiche e di tutela idrogeologica. Anche sugli alvei fluviali, come nella Sardegna dell’abusivismo. Il Ministro Lupi e il suo vice De Luca continuano a lesinare i soldi alle opere di messa in sicurezza del territorio. Secondo costoro il futuro dell’Italia sta nelle grandi opere per le quali i soldi si trovano sempre. 11 miliardi a Mose e Metro “C” di Roma. 20 miliardi per la Tav della val di Susa. Ne basterebbero la metà per rimettere in ordine il territorio e invece nulla. E parlano di fatalità.

Ieri il governatore della Sardegna Cappellacci ha sorvolato le aree colpite dall’alluvione in elicottero: si vede che la location per gridare al clima impazzito e alla fatalità veniva meglio. Ma a essere impazzito è il suo sistema di governo: pochi giorni fa la giunta regionale da lui presieduta ha finalmente demolito il coraggioso piano paesaggistico di Renato Soru che tentava di mettere un argine al dilagare del cemento. Per Cappellacci il futuro sta nel costruire villette a schiera anche sulle coste ancora scampate al diluvio del cemento e dell’abusivismo. Del resto, con l’altro grimaldello del piano casa in Sardegna si permette di costruire sempre e ovunque. Non può parlare di fatalità. La politica non ha più i requisiti morali per parlare di fatalità.

Ancora. Il comune di Cagliari su forte spinta del Pd vuole costruire un nuovo quartiere – e il capoluogo sardo è pieno di alloggi invenduti- in una zona agricola che viene chiamata in dialetto Su Stangioni, e cioè un’area su cui esisteva uno stagno. Sarà una fatalità quella che sommergerà l’ennesima speculazione fondiaria. Chi governa, di qualsiasi colore politico sia, pensa che solo con una ulteriore dose di cemento senza regole possiamo pensare di uscire dalla crisi. E’ un pensiero unico che si è ormai affermato senza confini. Sta in questo pensiero unico la radice del disastro che il nostro territorio subisce in modo continuo. Alcuni giorni fa le Marche, in questi stessi giorni la Basilicata e la Calabria. E’ ora di dire basta per sempre. Basta a dover piangere morti ingiuste dovute all’incuria e all’avidità. Basta con lo scempio del territorio in cui pochi proprietari fondiari si arricchiscono alle spalle della maggioranza del paese. E’ noto infatti che i valori immobiliari delle aree periferiche delle città e delle aree interne hanno subito a partire dal 2008 un decremento tra il 20 e il 40 per cento. La ricetta di continuare a costruire ancora produrrà inevitabilmente una ulteriore svalutazione e cancellerà ancora il paesaggio italiano. Eppure si sente solo il coro di coloro che predicano l’ulteriore cementificazione del Paese.

Nel silenzio dei media diventa invece sempre più diffusa una nuova cultura che fa della tutela e la messa in sicurezza del territorio il centro di una nuova visione del futuro dell’Italia. Questa cultura è ormai maggioritaria nel paese anche se non ha ancora rappresentanza politica. Ed è questa l’urgenza: delineare un nuovo programma di governo culturalmente alternativo al pensiero unico che ci ha portato in questo vicolo cieco.

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