Massimo ha l’artrite psoriasica, che nella fase acuta provoca il blocco totale delle gambe costringendolo a letto. Fabrizio ha una protesi totale dell’anca destra e un chiodo in quella sinistra: aspetta da mesi di essere operato. Sono solo 2 delle 10 storie raccolte dal garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, per descrivere al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria la vita nel nuovo complesso del carcere di Rebibbia. E denunciare, in una lettera, le carenze “tecnico-strutturali del centro clinico, dove manca personale medico”. Problemi iniziati da un anno, quando nell’ambulatorio di Regina Coeli è stata avviata la ristrutturazione. Conseguenza: trasloco obbligato al piano terra del reparto G11. L’appello arriva nei giorni delle polemiche contro il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri: sul banco degli imputati per l’interesse sulle condizioni di salute di Giulia Ligresti, che è stata reclusa in via cautelare per falso in bilancio e aggiotaggio, ma ha ottenuto gli arresti domiciliari subito dopo la telefonata del Guardasigilli (che nega ogni intervento).

Il caso che investe la titolare di via Arenula, spiega Marroni, “accende i riflettori sulla difficile situazione della sanità penitenziaria”. Un episodio, aggiunge, “utile per portare all’attenzione dell’opinione pubblica un argomento di cui è difficile parlare”. La scelta di scrivere a Giovanni Tamburino, capo del Dap, è dettata dalla consapevolezza “che la competenza in questi casi spetta al dipartimento, non al ministero o alla Cancellieri”, continua Marroni. Che fotografa le condizioni del reparto G 11, “utilizzato come centro clinico senza averne le caratteristiche tecniche e strutturali; senza, soprattutto la presenza di personale medico e paramedico adeguato”. Gli spazi sono quelli del nuovo complesso di Rebibbia: 3 piani, divisi in altrettanti ‘bracci’, che ospitano oltre 500 persone.

“I problemi di carattere logistico e sanitario – ricorda a Tamburino il garante – sono cominciati circa un anno fa: con l’avvio dei lavori a Regina Coeli, buona parte dei detenuti malati lì ricoverati è stata trasferita”, adattando ad ambulatorio il piano terra. Una scelta che, dagli uffici del Laurentino, definiscono “una soluzione di ripiego”. La situazione, scrivono, “è rapidamente degenerata diventando, oggi, drammatica. Il reparto non è nelle condizioni di ospitare esseri umani affetti dalle più disparate patologie e con scarse o nulle capacità deambulatorie. Celle e servizi non sono adeguati per i disabili”.

Mancano le carrozzine – si legge ancora nella lettera – per cui non è infrequente che siano costretti a stare tutto il giorno in cella”. Succede a Liviu, invalido al 100% per colpa dell’atrofia muscolare e della neuropatia sensitiva, patologie che colpiscono gli arti. La sua casa è uno spazio di 18 metri quadri, che divide con 4 persone. Raggiunge il bagno, per normodotati, facendo lo slalom tra armadi e sgabelli: senza canadesi, nessuna sedia a rotelle. Proprio come accade a Emilio: ha una gamba a rischio amputazione; vive in 10 metri quadrati, dove non c’è posto per la carrozzella. Per questo i suoi giorni trascorrono su un letto. Nella cella di Massimo, invece, i disabili sono 5. E il bagno, senza sostegni, non ha l’acqua calda. Mentre Fabrizio, da mesi, aspetta di essere operato: nessuna risposta, anche dopo lo sciopero della fame.

Queste sono alcune delle 10 storie che Marroni ha deciso di inviare a Tamburino, per spiegare la situazione vissuta nel penitenziario romano. “Abbiamo segnalato tutte persone affette da patologie gravi – aggiunge il garante – che avrebbero bisogno di ben altra attenzione”. A partire da un presidio sanitario: “Quello attuale è insufficiente”. Per questo arriva la lettera-appello al Dap. Proprio nei giorni in cui si è “sviluppato il dibattito sul caso Ligresti – conclude –, con il ministro Cancellieri che ha posto all’attenzione nazionale le difficili condizioni di vita di molti detenuti”.

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