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Gioco d’azzardo: i calcoli sbagliati dello Stato biscazziere

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Oggi per fortuna rovinarsi è molto più facile: una volta il gioco d’azzardo vero comportava lunghe trasferte per chi non aveva la fortuna di vivere a Sanremo, a Venezia o a Campione. Naturalmente c’erano bische clandestine a portata di mano in ogni città, ma ci si avventuravano pochi audaci, non certo i pensionati e le casalinghe. Ricordo che il sindaco di un paesello dalle mie parti, Bagni di Lucca, riaprì il casinò per una sera per rompere il monopolio e finì sulla stampa nazionale. Non riuscì a ottenere la riapertura dello storico casinò, con rammarico di un avvocato penalista che aveva già fatto affidamento sulla mole di lavoro che avrebbe portato l’aumento di criminalità che è l’indotto di questa impresa: usura, ricatti, qualche bel delitto.

Tempi lontani, ricordi che quasi inteneriscono: oggi un bel videopoker non si nega a nessuno, c’è la macchinette vicino al bancone del bar dove si prende il cappuccino, tappezzato peraltro di gratta e perdi che ti vengono proposti anche alle poste, appena ritirata la pensione.

Chi si ferma vede persone che ne comprano uno, poi un altro, poi un altro…o che passano la mattinata alle slot machine.

Ma, si dice, lo stato incassa ottocento milioni da queste attività, con la vendita delle licenze, e se non lo facesse farebbe un gran favore alla malavita, a cui si rivolgerebbero i giocatori. Peccato che molte persone siano affette da una patologia grave, la ludopatia, e siano così incoraggiate nella loro patologia, che avrà costi indiretti molto superiori agli ottocento milioni. Per non parlare del danno sociale, delle famiglie rovinate, del ricorso all’usura. Già i Sert trattano queste dipendenze, come quelle da sostanze: eroina, cocaina etc.

E allora siamo coerenti, vendiamo alle drogherie licenze anche per queste sostanze: la qualità sarebbe controllata, la malavita perderebbe l’esclusiva sul business e il consumatore non dovrebbe avventurarsi nei parchi di notte per trovare ciò che cerca. A Scampia un bel supermercato, anche se sospetto che il gestore sarebbe il solito.

Si potrebbero anche  ideare delle macchinette più economiche per i minorenni, per allevare i nuovi benefattori dello stato.

Oppure si potrebbe cambiare bar e non andare in quelli con le slot machine, smettere di dare licenze per nuove sale giochi, proporre agli studenti la lettura de Il giocatore di Dostoevskji, rendere più difficile l’accesso ai giochi. La cosa più insopportabile è la pubblicità con le sue ipocrite avvertenze: gioca responsabilmente. Sniffa ma solo il sabato, bucati ma attento all’overdose.

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