Gli scontri violenti di questi ultimi giorni in Egitto, specialmente quelli avvenuti a Port Said, hanno portato di nuovo gli ultras egiziani sotto i riflettori. Il presidente Morsi minaccia di instaurare lo stato di emergenza e il coprifuoco. In suo supporto è venuto perfino Guido Westerwelle, ministro degli Affari esteri della Germania, che ha condannato pubblicamente le violenze e auspicato il ritorno alla normalità. Ma chi sono gli ultras egiziani e qual è la loro storia? Cosa esprimono e chi rappresentano quando scendono in piazza? Sono davvero così aggressivi ed estremisti come li dipingono i media di mezzo mondo? Hanno una connotazione politica? 

Per iniziare a rispondere a queste domande occorre prima leggere un libro molto interessante del giornalista e blogger Mohamed Gamal Besheer, The Ultras Book: Ethnography of an Unususal Crowd (Il libro degli ultras: etnografia di una insolita folla), pubblicato nel 2011. L’autore del libro – che si dichiara membro del movimento degli ultras – ha svolto una lunga ricerca sul campo e ci fornisce molti elementi utili per interpretare gli accadimenti di questi ultimi giorni. 

Besheer spiega, infatti, che la prima cosa da tenere a mente quando si parla di ultras egiziani è il fatto che si tratta di un movimento assai recente, fondato precisamente nel 2005. Si tratta di gruppi di persone indipendenti dai club di cui sono tifosi. Non ricevono finanziamenti e sponsorizzazioni esterne e non di rado aspirano al ritorno allo sport non assoggettato a logiche di mercato. In altre parole, gli ultras egiziani, in particolare quelli delle due squadre principali del campionato di calcio egiziano (Zamalek e Ahly), studiati e analizzati dall’autore, non assomiglierebbero tout court agli hooligans conosciuti in Europa, i quali, sono (quasi sempre) legati da mille fili ai club calcistici di riferimento.

Gli ultras egiziani, secondo Besheer, hanno valori e una filosofia di vita di tipo comunitario, oltre che essere espressione di una ‘subcultura’ del tutto peculiare. La loro musica di riferimento (spesso un mix tra hip hop e influenze melodiche arabe) è fortemente caratterizzata da contenuti antiregime e antirepressione. Sono stati gli ultras, infatti, ad usare i graffiti per denunciare la brutalità della polizia egiziana, prima ancora dell’inizio delle rivolte di gennaio 2011, tappezzando i muri delle città con l’acronimo ACAB e altre scritte. 

Secondo molti analisti egiziani, l’inizio degli scontri e delle ostilità aperte tra ultras e polizia risale al 2009, quando prima del derby tra le due squadre della capitale, la polizia intervenne brutalmente arrestando decine di tifosi per impedire che questi aprissero gli striscioni con cui volevano esprimere solidarietà alla Palestina condannando l’assedio israeliano su Gaza. Da allora gli scontri tra polizia ed ultras sono stati numerosi.

Gli ultras sono riusciti però ad attirare le simpatie popolari soprattutto durante i 18 giorni di battaglia nelle piazze d’Egitto, quando, superando le storiche e dure rivalità tra squadre, seppero fronteggiare con eroismo e con un know-how non trascurabile l’aggressione delle forze di polizia e dei teppisti arruolati dal regime di Mubarak. Da quel momento in poi la presenza degli ultras nelle manifestazioni di piazza è sempre stata apprezzata dai manifestanti. Besheer nel suo libro sottolinea, infatti, perfino l’influenza rassicurante di un video degli ultras del Cairo apparso su YouTube il 22 gennaio 2011, con cui si informava tutta la cittadinanza sulla presenza degli ultras in piazza durante le proteste programmate. 

In realtà, anche dopo la caduta di Mubarak, diversi manifestanti egiziani hanno confermato di sentirsi più protetti quando gli ultras scendono a protestare con loro. “Quando vediamo il cartellone o lo striscione con la scritta ‘gli ultras sono qui’, cambia di colpo l’atmosfera di qualsiasi manifestazione, perché gli ultras sono organizzati e sanno difenderci”, mi ha spiegato un giorno un giovane studente dell’università del Cairo, descrivendo gli ultras come un piccolo ‘esercito del popolo’. Molti testimoni oculari, infatti, raccontano delle gesta eroiche degli ultras in piazza. Motivo per cui i manifestanti in Egitto non hanno mai preso le distanze dagli ultras in piazza e neanche hanno mai provato ad isolarli quando loro scendono al loro fianco.

Bisogna tenere conto, dunque, di questa reputazione popolare costruita negli ultimi anni e di tutti gli altri elementi per poter leggere attentamente la situazione in Egitto e collocare nel posto giusto anche le proteste violente degli ultras di questi ultimi giorni. Tutto ciò non significa, però, che gli ultras egiziani abbiano una precisa connotazione politica, ovvero che siano schierati in favore di specifiche forze politiche o che facciano delle precise rivendicazioni come movimento. Può darsi che in futuro le cose possano cambiare, ma finora non è così. Ciò che gli ultras esprimono da diverso tempo, e anche ora, può definirsi un malessere popolare diffuso contro la repressione poliziesca, contro una giustizia veloce e feroce con i più deboli e lenta e supergarantista per i ricchi e i potenti. L’errore che non bisogna fare, ad avviso di chi scrive, è quello di considerare le loro azioni e proteste soltanto come mera violenza tra tifoserie rivali. C’è molto altro da leggere e da capire.

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