Al 31 ottobre 2012, infatti, la proprietà di Titoli di Stato da parte delle banche italiane ammontava a 340 miliardi di euro, in aumento del 63% rispetto all’anno precedente (208 miliardi ma, nel 2009 a ridosso dell’esplosione della crisi, erano solo 147 miliardi). Una fetta importante del debito pubblico, quindi, si trova nella pancia delle banche: i Bot, nell’ultimo anno (ottobre 2011-ottobre 2012) sono passati da 32 miliardi a 54, i Btp da 106 a 182 miliardi ma anche Cct e Ctz sono cresciuti sia pure in misura minore.
Ma perché questo aumento così significativo, nonostante lo “spread“? Semplice, le banche in quest’ultimo anno hanno visto aprirsi sopra di loro il paracadute della Bce che ha assicurato una liquidità pressoché illimitata consentendo così di disporre di una dote miliardaria a un tasso di interesse dell’1% appena. Con questi soldi cosa hanno fatto i nostri istituti di credito, prestato a famiglie e imprese? Neanche per sogno.
Nello stesso arco di tempo i prestiti alle famiglie sono scesi da 616 a 610 miliardi di euro, soprattutto nel credito al consumo mentre i prestiti alle imprese sono calati di oltre 35 miliardi, da 905 a 870 miliardi di euro. Solo il settore “pubblica amministrazione“, in linea con il dato del debito pubblico, ha sostanzialmente retto perdendo circa due miliardi di finanziamento nei circa 1900 miliardi di prestiti.
La realtà, dunque, è che le banche si sono finanziate presso la Bce e con quei soldi hanno acquistato i ben più redditizi titoli di Stato che quest’anno hanno assicurato rendimenti tra il 4 e il 6%. Le banche spiegano questa situazione appellandosi all’aumento consistente delle sofferenze (i crediti difficili da riscuotere) passate nell’arco dell’anno da 102 a 119 miliardi, una crescita del 16%. Un rischio che, almeno in parte, è stato coperto investendo sui titoli di Stato.
Il trasferimento di risorse è quindi visibile a occhio nudo, basta leggere i numeri.