“Potrebbe innescarsi un meccanismo tale da far sembrare i fatti di Rosarno poca cosa”. A parlare così è Domenico Madafferi, sindaco di San Ferdinando, paese di 4000 anime a pochi chilometri dalla città calabrese teatro, nel gennaio 2010, della rivolta degli immigrati. Ai tempi, gli stranieri, tutti impiegati stagionali nella raccolta degli agrumi, si ribellarono contro le condizioni di schiavitù nelle quali erano costretti a vivere e lavorare. Oggi la situazione è anche peggio. Al posto di casolari e fabbriche abbandonati, i migranti vivono in un’enorme bidon-ville. La tendopoli, 250 posti letto, oggi ospita più di mille cittadini africani e affianco a quella ufficiale ne è sorta una “parallela” con rifugi di fortuna costruiti con lamiere, pannelli di eternit e altri oggetti di fortuna trovati per strada. Le condizioni igenico-sanitarie nelle quali sono costretti a vivere gli stranieri sono drammatiche e, come se non bastasse, fanno il palio con lo sfruttamento lavorativo da parte di caporali neri e padroncini bianchi. La paga per una giornata passata a raccogliere mandarini e arance è di 20, massimo 25 euro al giorno a cui va sottratta il “biglietto” per essere trasportati nei campi, in macchine o furgoncini, stipati come bestie. Il primo cittadino del paese accusa le istituzioni, dalla Regione Calabria al Quirinale, di averlo lasciato solo a gestire un’emergenza senza precedenti. “E’ anche per questo che ho emanato un’ordinanza per chiedere lo sgombero della tendopoli abusiva”, racconta. Ma quello che potrà succedere quando i migranti vedranno arrivare i carabinieri nessuno può saperlo. E tornano alla mente le immagini di Rosarno di tre anni fa, quando questo esercito invisibile di schiavi si ribellò all’uomo bianco  di Lorenzo Galeazzi e Lucio Musolino

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