Non è mai troppo tardi per iniziare una nuova vita. Biagio Carrano l’ha fatto non per necessità, ma per scelta. Classe 1972, una formazione in gestione d’impresa, nel 2006 ha deciso di buttarsi in una nuova avventura in Serbia. “Tutto sommato il mio era un percorso lavorativo in crescita, all’epoca ero già insegnante della Business School del Sole24ore, e venivo da un’esperienza non proprio esaltante come dirigente esterno al Comune di Napoli. Volevo mettermi alla prova all’estero, e ho aperto una società di consulenza a Belgrado che lavora sull’internazionalizzazione delle imprese italiane, la comunicazione e il marketing”. Uno dei soci di Biagio era già esperto della zona, così la scelta è caduta sulla Serbia, un po’ per caso. Poi le cose non sono andate come previsto, i soci si sono tirati indietro e Biagio si è trovato al classico bivio: tornare o tentare? “Sono rimasto, e all’inizio è stato davvero faticoso, una prova che ti ricorda l’iniziazione dei guerrieri africani nella giungla. Ma è davvero un’esperienza che tutti dovrebbero poter fare, una volta nella vita”.

La sfida per Biagio era prima di tutto integrarsi e sviluppare le competenze per poter aiutare le aziende che vogliono investire in Serbia, fornendo loro informazioni sul contesto sociale, economico, sui fornitori e la legislazione del paese. Purtroppo, non tutti i clienti partono con il piede giusto: “Tante strutture italiane interessate alla Serbia puntano solo sul basso costo del lavoro, ma è una scelta perdente. Internazionalizzare un’azienda è una svolta coraggiosa, ma richiede intelligenza e una grande apertura mentale. Qui ci sono altissime competenze linguistiche ed informatiche, giovani attorno ai 25 anni già molto responsabili e affidabili: dispiace vedere le aziende italiane che anche all’estero conducono solo battaglie di retroguardia. Lavorare, vivere o investire all’estero non implica per forza un impoverimento del paese d’origine se quel paese sa valorizzare le competenze e le esperienze che sono state acquisite altrove”. Con l’Italia, Biagio mantiene un rapporto continuo, grazie alla sua attività di formatore e al suo blog, l’Immateriale, in cui scrive di comunicazione, marketing e management: “Posso quasi dire di aver creato più connessioni con il blog che quando vivevo a Milano. Siamo cervelli in rete, le distanze geografiche ormai sono superabili. Nel web partecipiamo ai dibattiti politici e creiamo opinioni, a prescindere dall’essere in Italia o all’estero”.

Secondo Biagio, ci sono molte possibilità di lavoro che si nascondono nel sottovalutato mondo della rete: “Prendiamo la campagna elettorale di Obama, o del suo avversario: un team di decine di giovani si occupava solo dei media sociali. È un lavoro che richiede software, ma anche intelligenze, persone che stiano a leggere, a fare connessioni, che siano creative e che magari abbiano una formazione umanistica, perché non è vero che la cultura non dia lavoro o servano solo ingegneri. C’è un sacco di talento sprecato, lo dico anche da formatore. Non sappiamo valorizzare chi merita, e lo perdiamo due volte. Prima, non dandogli le possibilità di lavoro, poi continuando a non accorgerci dei giovani quando hanno accumulato esperienza, magari grazie a chi ha dato loro fiducia all’estero. Il problema è della politica, delle classi dirigenti, che si ostinano a considerare perduta questa generazione per una scelta di comodo. Non siamo perduti, non siamo neppure lontani: siamo vicinissimi, solo che il nostro paese non se ne accorge e prosegue nelle sue vischiosità dando spazio a rapporti personali anziché valorizzando il merito. E più si sale di livello, più è così”. La posizione privilegiata di Biagio mostra due facce dello stesso problema: in Serbia, alcune aziende italiane sperano di delocalizzare per pagare meno la manodopera. In Italia, si sottopagano i giovani con stage e collaborazioni: “Nell’arco di pochi anni, ho visto le imprese e le società di consulenza offrire sempre meno, fino a niente di più che stage gratuiti. Non mi venite a dire che una multinazionale della comunicazione va in bancarotta se paga un rimborso spese. L’immobilismo che viviamo è causato dalla mancanza di coraggio nell’investire sui giovani. Omologazione, conformismo, paura di correre rischi: questi sono i mali dell’Italia”.

Articolo Precedente

“In Bulgaria ho trovato il socio per il web, ma in Italia faccio impresa 2.0”

next
Articolo Successivo

Università: Valentina e Ilaria, ricercatrici unite contro i baroni

next