Da un punto di vista strettamente numerico, è il titolo di Venezia 69 che si è aggiudicato più premi. Compresi il Fipresci (Federazione Internazionale dei Critici Cinematografici) e il Pasinetti (Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani), i sette riconoscimenti collaterali andati a L’intervallo di Leonardo Di Costanzo sottolineano la vitalità di un’opera brillante che rimanda fin dal titolo ad una parentesi, ad una pausa, ad una sospensione del quotidiano dei suoi due personaggi; così come degli occhi di chi guarda, raramente spettatori di storie tanto potenti. Siamo dalle parti di un film davvero urgente, dal linguaggio libero e dalle idee chiarissime che nelle intenzioni del regista – alla sua prima opera di fiction – racconta “come si forma e sedimenta la mentalità camorristica attraverso due adolescenti”. 
 
In sala da mercoledì 5, la pellicola di Di Costanzo segue dappresso Salvatore, un adolescente incaricato di sorvegliare la coetanea Veronica fino all’arrivo di un boss della camorra che la metterà davanti ad un bivio. A differenza dei ragazzi romani di Un giorno speciale di Francesca Comencini che, nell’attesa di un incontro con un onorevole invischiato con lo spettacolo, al di qua e al di là del raccordo hanno a disposizione una città intera, i napoletani sono stipati in un ex-istituto abbandonato: ambienti in disfacimento, stanzoni vuoti, rottami a non finire, una barchetta negli scantinati e, in mezzo, due anime in ostaggio di una sistema di cui fanno già parte. 

 
Sono molti i pregi di questo film da difendere, dall’alchimia creatasi tra i giovani protagonisti (Francesca Riso e Alessio Gallo) alla mobilità della macchina da presa di Luca Bigazzi, dalle molte intuizioni di una regia attenta ai particolari e capace di amalgamare finzione e realtà fino al lavoro sul suono.
Come ha sottolineato qualche giornalista dopo la presentazione al Lido, L’intervallo non avrebbe certo sfigurato nel concorso principale, sebbene proprio Orizzonti – la sezione in cui è stato presentato – abbia racchiuso i titoli più sorprendenti di tutta la Mostra: oltre a Three Sisters di Wang Bing, poi premiato, The Millennial Rapture di Koji Wakamatsu, Fly With The Crane di Ruijun Li e Low Tide di Roberto Minervini, italiano emigrato in America 12 anni fa che dà prova di buona acutezza registica. C’è da augurarsi che trovi una distribuzione al più presto.
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