Per simbolo si è data una gerbera gialla. “Stelo robusto, coloratissima, da gente in trincea”. Adriana Musella non è proprio un milite ignoto per i movimenti antimafia. Se la racconti è perché d’un tratto ti dice cose della sua vita che fanno sobbalzare. La sua storia pubblica incomincia il 3 maggio del 1982. Trent’anni fa, anche lei, ma a Reggio Calabria. Quando di primo mattino saltò per aria l’auto di suo padre, nemmeno il tempo di metterla in moto. Faceva l’imprenditore, Gennaro Musella. Si occupava di cave e di lavori pubblici, e i suoi operai ancora oggi lo raccontano come un benefattore capace di mettere in mano, fuori busta, i soldi “per i bambini”. Pare anche che sapesse fare molto bene il suo mestiere. Conti in ordine, azienda efficiente (la Sider) e mente visionaria. Successe un giorno (questo non sapevo) che fu aperta una gara per realizzare il porto di Bagnara Calabra e che lui si innamorò del suo progetto. Cocciutamente. Ma la gara venne vinta da un’altra impresa.

Una proposta imbattibile, un massimo ribasso da mille e una notte. Musella andò al genio civile con le tabelle in mano: prezzi di mercato dei mezzi e delle forniture necessarie, anche all’ingrosso, anche scontate; salari minimi delle mansioni più basse. Come potevano, i vincitori, garantire quelle cifre? C’era aria di imbroglio. Il funzionario del genio civile dovette abbozzare. Anche se la gara l’aveva vinta un’ impresa di Gaetano Graci, uno dei quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa di Catania urlati da Giuseppe Fava . Si rifece la gara. Musella si preparò meticolosamente. Ma lo sgarro di mettersi di traverso al gruppo Graci non avrebbe dovuto farlo.

I cavalieri del lavoro catanesi, infatti, stavano sbarcando in Calabria, decisi a sfruttare le opportunità aperte oltre lo Stretto dai buoni uffici di Nitto Santapaola, che in terra reggina aveva stretto, in tema di stupefacenti, una solida alleanza con Paolo De Stefano, boss calabrese di prima grandezza. La gara la vinse Graci, che di lì a poco fece un consorzio con le imprese concorrenti battute. Venivano da tutta Italia ma le buste erano state spedite insieme da Reggio, nello stesso giorno e in ordine progressivo. Nel frattempo c’era stata l’autobomba. Le indagini non portarono da nessuna parte. E i cavalieri, dal canto loro, erano intoccabili.

Il procuratore di Reggio, Gaeta, disse ad Adriana che gli chiedeva giustizia: “Signora, se ne stia a casa, lei ha due figli”. Poco tempo fa la procura ha sostenuto che dietro la bomba c’erano stati gli uomini di Santapaola.“Già, è stato il primo delitto di mafia realizzato in Calabria su mandato di Cosa nostra. Ma il gip, l’attuale procuratore di Palmi, non ha accolto la richiesta di incriminazione. Tanto sono tutti morti, mi si dice. Ti rendi conto? Ho dedicato tutta la vita a chiedere giustizia e a coltivare il ricordo di mio padre. E non è stato facile riscattare la mortificazione della ferita, lottare in una terra ancora piena di vermi. Mi sono dovuta battere per ventisei anni perché lo riconoscessero vittima di mafia. Ho avuto vicino tante persone, soprattutto Antonino Caponnetto, uomo meraviglioso, eccolo in queste foto”.

Compare in più immagini il grande magistrato, come anche Pietro Grasso, e altri familiari di vittime. “Mi aiutò lui a dar vita a ‘Riferimenti’, l’associazione che oggi guido. La gerbera gialla nacque con lui, alla prima manifestazione a Reggio, nel maggio del ’93. Non sono belle queste distese di gerbere alle manifestazioni studentesche? Guarda qui”. Adriana oggi è una signora matura. Lontane trent’anni le foto con il padre che le tiene un braccio sulla spalla come fosse una bambina. Qualcuno le rimprovera una personalità molto forte, l’impeto, la “tigna”, anche; perfino di avere tenuto la segreteria della Consulta antimafia della Regione Calabria. “E questo mi amareggia . Nessuno ha mai coperto personaggi compromessi. In compenso sono state organizzate tante cose utili in una regione dove, come sai benissimo, la società civile non ha la forza della Sicilia. Facciamo anche la settimana bianca dell’antimafia, con l’aiuto dell’Azienda del Turismo di Folgaria. Quattrocento ragazzi da tante regioni d’Italia, a prezzi stracciati. Poi”, e qui si ferma un attimo, “se qualcuno fosse capace di fare ricordare mio padre senza di me ne sarei solo felice”.

Invece non accade. Invece i trent’anni che ricordano alcuni eroi dell’antimafia, per Musella sono stati celebrati a maggio con il ministro Cancellieri, la targa di Napolitano, ma addosso l’idea di una vicenda locale. Le guardi il viso abbronzato e avverti il senso di colpa, ma di che memoria parliamo… E pensi pure, visto che la fantasia non la controlla nessuno, a quei signori che anni fa cercarono di farci digerire i cavalieri del lavoro di Catania perché agli imprenditori “mica si possono fare le analisi del sangue”. Oggi molti dei loro amici dell’epoca, diversamente da Musella, sono ancora vivi, e con tutti gli onori. In politica e in Cassazione.

Il Fatto Quotidiano, 26 Agosto 2012

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