Tra nuovi moniti, ultimatum e promesse già sentite è riemerso il dibattito sulla legge elettorale, un evergreen che torna con una regolarità e dei contenuti che sarebbero comici se non fossero quasi tragici. Sono passati vent’anni dall’inizio della cosiddetta Seconda repubblica e ancora non siamo riusciti a metterci d’accordo su come funziona questo sistema politico – al punto che ormai si parla da più parti di avvento della “Terza repubblica”, quasi ad ammettere il fallimento.

Come, se non più, di altre eterne questioni italiane (il conflitto di interessi, la riforma della Rai, il federalismo, solo per citarne alcune), la riforma elettorale è uno di quegli argomenti alla cui importanza corrisponde, ahimè, perlopiù indifferenza se non vero e proprio disgusto tra il pubblico. E questo non solo per la frequenza inusitata con cui il tema ci viene proposto – un’anomalia tutta italiana – ma anche, e forse soprattutto, perché questo dibattito mette a nudo alcuni dei peggiori vizi della nostra politica. 

Il primo, il più odioso, è l’incapacità della nostra classe politica di guardare al di là del perimetro dei propri interessi. Ogni paese, ogni comunità, si regge su un dualismo tra logiche di parte e valori comuni, e tra i bisogni dell’immediato e la necessità di una visione di lungo periodo. Il sistema elettorale – le ‘regole del gioco’, come ci viene spesso ricordato – ricade per la gran parte nella sfera degli interessi condivisi; richiede uno ‘sguardo lungo’ che sembra essere merce assai rara tra i leaders politici che sentiamo parlare. Certo, sarebbe ingenuo, e forse anche dannoso, aspettarsi che i partiti mettano da parte le loro esigenze per immolarsi sull’altare delle riforme. Ma la tattica elettorale, il timore di perdere le elezioni o il tentativo di tenere qualche seggio in più non possono essere gli unici criteri su cui basare la discussione su questo tema – non se si vuole costruire un sistema finalmente stabile e credibile, ed evitare di dover tornare al punto di partenza a ogni cambio di governo. 

Il secondo vizio è l’assenza di idee che si registra in questo dibattito: non idee su come cambiare la legge elettorale – di quelle ce ne sono anche troppe – ma piuttosto sul perché cambiarla. A leggere di sbarramenti, premi di maggioranza, collegi e quant’altro non si direbbe, ma nella discussione sulla riforma elettorale sono in ballo questioni centrali della vita politica del paese. Fino a che punto si possono eliminare le minoranze nel nome della governabilità? Sono i territori o le parti politiche a dover essere rappresentate? E il nostro voto deve andare a una persona o al partito che essa rappresenta? Insomma, che tipo di democrazia vogliamo? Queste sono domande a cui i vari sistemi che sentiamo proporre danno risposte molto diverse, ma che quasi mai vengono affrontate con la chiarezza e la franchezza che meritano. 

La povertà e il tatticismo del dibattito sulla riforma elettorale, infine, sono alimentate da – e a loro volta alimentano – un terzo vizio, ossia la carenza di informazione, che ha trasformato quella che dovrebbe essere una discussione semplice e aperta in una conversazione tra pochi iniziati. È proprio l’informazione l’anello da cui questo circolo perverso può e deve essere scardinato, perché è su di essa che oggi più che mai è possibile agire dal basso. Diversi mesi fa Quattrogatti.info ha pubblicato una presentazione per orientarsi nel labirinto dei sistemi elettorali. Da allora nessun passo in avanti è stato fatto per modificare il ‘Porcellum’ e poco o nulla è cambiato nei termini del dibattito politico. Riproponiamo il lavoro sperando che possa dare un contributo, anche piccolo, a far sì che quest’ennesima occasione di aggiustare il nostro sistema politico non venga sprecata.

Piero Tortola

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