In mancanza di misure adeguate da parte dell’Europa, la crisi dei debiti sovrani rischia di produrre enormi rischi per tutti quanti. E’ quanto afferma oggi il premier britannico David Cameron in un discorso alla business community inglese i cui contenuti sono stati anticipati dal Financial Times. Parole dure, quelle dell’inquilino di Downing Street, che, ammette apertamente lo stesso quotidiano britannico, sembrano destinate a fare infuriare ancora di più i sempre più nervosi leader politici europei. L’uscita di Cameron si accompagna alle dichiarazioni rilasciate ieri dal governatore della Bank of England Mervin King secondo il quale “l’Eurozona si starebbe facendo a pezzi da sola senza trovare alcuna soluzione evidente”. Una frase che ha gettato benzina sul fuoco provocando un ulteriore motivo di nervosismo a un’Europa che si sente sempre più stretta d’assedio soprattutto dopo che la Fed ha invitato le banche Usa a ridurre l’esposizione sul Vecchio continente.

Lunedì Moody’s ha declassato in un colpo solo 26 banche italiane chiamando in causa la recessione in atto come principale fattore di rischio. L’Abi, come noto, ha reagito malissimo, chiedendo alla Bce e all’Eba (l’autorità europea che ha chiesto in passato ai principali istituti di credito italiani di procedere alla ricapitalizzazione) di non tenere conto dei giudizi della stessa agenzia accusata (anche da Confindustria) di destabilizzare i mercati. Dopo l’incontro celebrato ieri a Francoforte, in cui i direttori finanziari delle più importanti banche europee hanno attaccato il monopolio delle Big Three (Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch), puntuale è arrivato anche il declassamento di Enel, il cui titolo, alle 14 di oggi, cedeva il 2,80%. Se a ciò si aggiunge la sempre più concreta ipotesi di una nuova ondata di downgrade che prenderebbe di mira in primis le banche spagnole, non è difficile capire l’escalation del clima di ostilità tra l’Europa e le agenzie stesse, da tempo accusate di conflitto di interesse e, almeno nel caso di Moody’s e S&P’s, di eccessiva dipendenza dagli umori degli ambienti finanziari (e speculativi) di Usa e Gran Bretagna.

Sembra un déjà vu. Il 6 dicembre scorso, alla vigilia del vertice europeo, Standard & Poor’s fece infuriare il Vecchio continente mettendo improvvisamente sotto osservazione tutti i Paesi di Eurolandia per una possibile revisione del rating. Nel calderone, per intenderci, ci finirono anche Germania, Olanda, Finlandia e Lussemburgo, le quattro nazioni più solide dell’area. Anche allora, ovviamente, si parlò di destabilizzazione ingiustificata e di assist alla speculazione d’oltremare. In fondo non è mai stato un mistero che gli attacchi all’Europa di giugno, luglio e novembre siano partiti principalmente dai fondi hedge di Wall Street e della City.

E proprio di attacchi speculativi si parla ormai sempre più insistentemente di fronte alla prospettiva di un default disordinato della Grecia e del panico che ne seguirebbe. I mercati sono in tensione in attesa di una sorta di Big one, un ciclone ribassista senza precedenti. E’ l’incubo delle borse europee, ma anche dei leader del Continente che si preparano al vertice del G8 in programma nel weekend a Camp David. Un summit caldissimo che segnerà anche l’esordio internazionale del neo presidente francese Francois Hollande, uno che in passato ha accusato apertamente Londra di infischiarsi altamente del destino dell’euro perché troppo impegnata a tutelare gli interessi della City. La tensione è alle stelle, e proprio per questo, forse, a qualcuno inizia ad apparire strana questa insistenza britannica nell’alimentare la paura evitando al contrario quelle dichiarazioni concilianti e attendiste che dovrebbero precedere tipicamente gli appuntamenti internazionali.

Per quanto l’incertezza alimentata da Londra e dalle agenzie di rating rappresenti un’opportunità per gli speculatori, non si può comunque parlare di timori infondati. La crisi greca rischia infatti di accelerare il panico ben rappresentato dalla tendenza dei correntisti a ritirare il proprio denaro dalle banche. Oggi, il quotidiano spagnolo El Mundo ha reso noto che i correntisti di Bankia, l’istituto più esposto ai titoli tossici del comparto immobiliare (e per questo nazionalizzato da Madrid), hanno ritirato circa 1 miliardo di euro in una settimana. I correntisti greci si sono portati via 171 miliardi dal 2009 a oggi. Il rischio è che prima o poi la sfiducia si trasformi in panico aprendo la strada al collasso del sistema bancario. Uno scenario a dir poco catastrofico.

Articolo Precedente

Una Commissione d’inchiesta su Equitalia

next
Articolo Successivo

Dalle banche agli istituti di credito

next