L’Italia è il paese della giustizia lumaca (lo si dice da un quarto di secolo). La lentezza dei processi civili costa un punto percentuale di Pil (lo disse tra i primi l’ex governatore di Bankitalia, Mario Draghi). La giustizia lenta fa scappare gli investimenti stranieri (sarà, ma il Fatto Quotidiano dice cose un po’ diverse).

Ora, è noto ormai a tutti che il governo ha fatto la sua prima mossa sul tema della giustizia civile con il famoso articolo 2 del decreto liberalizzazioni, subito ribattezzato “tribunale delle imprese”. Poteva farne altre, ha scelto questa. Se volete i dettagli, in rete si trovano tutte le informazioni.

Se invece voleste darne un giudizio, le cose si complicano. Nei blog, la mossa è stata subito bollata come riforma a costo zero. Alcuni magistrati appartenenti al gruppo Area, composto da Md e Movimento per la giustizia, hanno messo nero su bianco i loro dubbi e li hanno condivisi con colleghi e avvocati.

Quello istituito, osservano Luca Perilli (tribunale di Rovereto), Elena Riva Crugnola (Milano), Luca Minniti (Firenze) e Pasquale d’Ascola (Cassazione), non sarà un “Tribunale delle Imprese, e cioè un giudice specializzato con competenza territoriale ampia e dotato di risorse, anche informatiche, adeguate che si occuperà dei conflitti dell’impresa e dei conflitti tra imprese…Vi sarà, invece, con un colpo di penna, il trasferimento di migliaia di fascicoli riguardanti specifiche e selezionate materie, certamente complesse, dalla maggior parte dei tribunali italiani a 12 grandi uffici giudiziari, ai quali sono attribuite dal luglio 2003 le controversie in materia di proprietà industriale e intellettuale.

Il decreto legge non considera se si tratti di tribunali sofferenti; non crea nuove sezioni specializzate con competenze esclusive; non attribuisce nuove risorse umane e materiali ai ‘tribunali delle imprese’; non prevede la possibilità che tali ‘tribunali delle imprese’ si avvalgano di competenze e professionalità maturate nel settore societario da giudici dei tribunali ordinari; non prevede la verifica di una pregressa formazione per il giudice dell’impresa; prevede invece la quadruplicazione del contributo unificato che, vale, secondo la relazione che accompagna il provvedimento legislativo, 7,7 milioni di euro l’anno, destinati all’Erario”.

I quattro giudici sono preoccupati della consuetudine di modificare il diritto processuale per decreto. Valutano “improvvisati” questi interventi sull’organizzazione giudiziaria: “Chiediamo invece, da anni, un approccio moderno all’organizzazione della giustizia, che sia basato sullo studio e sulla conoscenza dei dati statistici e dei flussi di affari, sull’investimento e sulla distribuzione di risorse adeguate all’obbiettivo di un processo di durata ragionevole per tutti i cittadini”.

Il decreto, dicono, “non raggiunge nessuno degli obbiettivi che si propone e avrà l’unico effetto di appesantire i dodici tribunali distrettuali. Determinerà problemi di competenza per materia, perché esso ritaglia artificiosamente, nell’ambito del settore societario, alcune sottomaterie per lo più, ma non esclusivamente, riconducibili alle società per azioni e individua nella nozione di controllo societario (che presuppone un complesso accertamento in fatto ) l’estensione della competenza accentrata per le controversie riguardanti altri modelli societari”. Inoltre “avrà l’effetto di distinguere il ‘fare impresa’ di fronte alla giustizia, a seconda che a operare siano società per azioni ovvero altre società, sottovalutando che anche piccole e medie imprese, su cui si basa larga parte dell’economia italiana, necessitano di accesso a una giustizia rapida e di qualità”. Si “darà attenzione più ai conflitti societari interni, che all’efficienza della risposta giudiziaria in materia di contratti d’impresa e di insolvenza civile commerciale, cui il decreto legge non guarda, sebbene questi condizionino molto di più la vita economica delle imprese”.

Secondo gli estensori del documento, “assai maggiori benefici per il mercato si potrebbero determinare con mirati investimenti sulla telematica giudiziaria, come dimostrano i dati economici sugli effetti dell’introduzione della informatizzazione nelle procedure esecutive e concorsuali e del decreto ingiuntivo telematico, attualmente attivato solo in un numero limitatissimo di uffici”.

Si potevano fare molte cose, si diceva, il governo ha scelto di fare cassa cambiando la targa sulla porta di dodici uffici.

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