Vi piacerebbe poter, un giorno, imbattervi in voi stessi? Che domande fareste a uno sconosciuto che in realtà siete voi? Sembrano considerazioni fantascientifiche, del resto un film, Mr Nobody, nel quale la voce narrante domanda “Perché ricordiamo solo il passato e non il futuro?” svela immediatamente il suo piano: per una volta nella vita essere noi a prenderci gioco del tempo e non viceversa.
Il protagonista del film, il signor Nemo Nobody (Jared Leto), ha 118 anni ed è l’uomo più anziano esistente, l’ultimo mortale sulla terra. Dopo di lui gli uomini saranno immortali e il mondo intero segue gli ultimi minuti di vita dell’uomo che ha qualcosa da perdere, e più che un reality sembra una sorta di depravato telegiornale quello che documenta il suo decesso ora per ora, trasmettendo le immagini del vecchio morente sul maxischermo della strada principale.
Mr Nobody, a seguito di una strana ipnosi, trascorrerà le ultime ore della sua vita cercando di effettuare un viaggio a ritroso nella memoria, per capire sostanzialmente due cose; se ha saputo fare le scelte giuste e che senso abbia la locuzione “scelte giuste”. Impossibile non pensare alle doti da croupier del destino che fa in modo che un film che narra la storia di un signor nessuno, di cui si mette addirittura in dubbio l’esistenza, abbia lo stesso problema di Mr Nobody; non esiste nelle sale. “La pirateria ha avuto successo laddove l’industria ha fallito” è un’affermazione che non ti aspetti da un regista. Però stavolta è Jaco Van Dormael a sottoscrivercela.
Ce lo confessa da una hall d’albergo prima della proiezione di Mr Nobody , tenutasi domenica scorsa al Lumiére di Bologna in apertura della “personale” a lui dedicata dalla Cineteca di Bologna. L’ultimo film del regista belga dopo un’ infelice (dal punto di vista del botteghino) uscita francese si è visto sbarrare la strada dalla distribuzione. “Le cose stanno proprio così – precisa van Dormael – se questo film non lo troverete in tv, in dvd o in sala, la pirateria può essere una soluzione e fra l’altro quello che circola in rete è proprio il director’s cut”.
Una situazione assurda. Come si è arrivati a questo?
“Questo è il cinema, e si compone di due elementi; gli artisti e l’industria. Gli artisti fanno il film, l’industria si occupa del flusso che lo conduce allo spettatore. Diciamo che il mio film, a parte qualche sparuta eccezione, è rimasto bloccato nell’ascensore che dall’industria lo conduceva al pubblico”.
Al pubblico però, grazie a internet, è arrivato lo stesso.
“In effetti devo ringraziare la pirateria di questo. Quando mi hanno raccontato che Mr Nobody aveva vinto il premio del pubblico all’European Film Awards ho chiesto, un po’ stupefatto, di vedere da dove provenivano i voti. Perlopiù dall’Inghilterra e dell’Italia, due paesi in cui non era uscito, in quel momento ho capito tutto”…
Ma è andato così male?
“Non saprei, so solo che questo film è il peggior disastro economico della mia vita e al contempo è quello che amo di più”.
Mr Nobody più che raccontare una storia sembra sfidare il nostro cervello…
“Ho fatto un film dove cause e conseguenze non sono chiare, e dove forse le scene migliori sono quelle inutili. Volevo disoccuparmi delle isteriche esigenze della trama (le risposte) e concentrarmi sulla complessità dei meccanismi del pensiero. Mi interessava ragionare attorno all’ossessione della scelta da parte degli esseri umani, e ho voluto farlo attraverso gli occhi di un bambino prima e (ragazzo poi) che non sa scegliere e quelli di un anziano che gli spiega che tutte le scelte sono esatte”.
Dopo Toto le héros e L’ottavo giorno ancora una volta la dimensione dell’infanzia sembra appassionarla…
“Esattamente, mi incuriosiscono molto quei buchi vuoti tra l’infanzia e l’età adulta”.
Anche le infanzie difficili, come quelle dei bambini down che ha impiegato e per i quali è stato, a volte, accusato di indugiare su certi sentimenti facili?
“ Ho scoperto una cosa; mentre noi ci facciamo domande sul loro impiego nel cinema, a loro piace da pazzi recitare, lo fanno come fosse un gioco molto naturale. Si divertono. Può bastare?”
Un altro tema ricorrente è quello del tempo…
“Il tempo mi affascina per la sua natura ambivalente; ha a che vedere con l’eternità ma anche con l’oblio. C’è il tempo che vivi e ricordi ma anche quello che non vivi (e dimentichi?) perché hai scelto un’altra esistenza”.
Riguardando i suoi stessi film quali influenze le pare di rintracciare?
“Consciamente devo dire che ho amato molto la libertà espressiva di Fellini, credo che la struttura di Amarcord e quella di Toto le héros siano pressoché identiche. Da un punto di vista più irrazionale invece devo dire che, pur non ritrovandolo nel mio cinema, ammiro Tarkovskij; mi piace quando in certi suoi film mi sembra di non capirci quasi nulla ma ad un certo punto mi scopro a piangere”.
Da regista, se dovesse pensare ad un soggetto che ci riguarda, che storia racconterebbe? Che immagine ha di noi?
“Non so se questa è una riposta, le dico però che in Belgio ci sono molti italiani, e tempo fa con un mio vicino italiano mi sono lasciato andare ad alcune considerazioni quantomeno ironiche su Berlusconi. Lui si è fatto serio e mi ha risposto: “Un uomo che canta così bene non può essere cattivo”.
di Cristiano Governa