Ancora nello scorso mese di luglio, ma prima dell’ultima tempesta dei mercati che ha colpito severamente l’Italia, circolavano “voci” sull’inevitabilità di uno scorporo della rete di Telecom. Questa idea rimasta a lungo nell’underground delle TLC non è mai stata completamente abbandonata: seduce la politica più famelica, sempre in cerca di posti in CdA da spartirsi per gli amici, affascina ancora qualche economista in buona fede ma che difetta di senso pratico, trova persino sponda in qualche ambiente di Telecom Italia spaventato dalle trimestrali non sempre favorevoli, senza parlare poi di qualche operatore suo concorrente che potrebbe vedere con interesse uno scenario di indebolimento e ridimensionamento dell’odiato “incumbent”.

La rete in rame di Telecom Italia serve 23 milioni di clienti ma il numero totale di linee equivalenti attive ammonta a 27 milioni; secondo le valutazioni degli esperti il valore per linea potrebbe aggirarsi tra 400 e 500 euro. A tale stima si giunge tenendo conto del goodwill della rete necessario a non determinare contraccolpi sul valore in borsa dell’azienda e sui tassi del debito. Dunque, anche ammettendo (e non concedendo) che il management di quell’azienda possa prendere seriamente in considerazione un’ipotesi di scorporo del rame, o comunque di conferimento a terzi a fronte di qualche complessa costruzione finanziaria finalizzata a promuovere la rete di nuova generazione, ben difficilmente potrebbe prevederne l’alienazione altro che tra 9200 e 13500 milioni di euro.

Si tratta di una prospettiva che non può convincere né il potenziale venditore né il potenziale acquirente, ossia lo Stato o chi per lui, che dovrebbe acquistare un asset con la prospettiva certa di svalutarlo progressivamente, costruendo a fianco la rete ottica, per poi abbandonarlo (a valore zero). L’ipotesi formulata nei mesi passati di “Stato imprenditore a tempo” per il cospicuo intervallo di 10 anni è subito tramontata: lo Stato-gestore nelle TLC non può volerlo nessuno (salvo che, forse, la politica più arraffona), e non può volerlo ancor di più il cliente finale che ha sperimentato negli anni prezzi decrescenti, qualità crescente e nuovi utili servizi. Un’esperienza felice per le tasche del cittadino che da una parte non ha l’uguale in settori con presenza ancora asfissiante dello Stato e degli enti locali (pensiamo ad esempio alle ferrovie e all’acqua degli sciagurati due referendum dei cui esiti ben presto ci pentiremo) e dall’altra si raffronta con il perdurare di cartelli silenti non contrastati con sufficiente energia da controlli troppo spesso deboli (vedi le assicurazioni e la benzina).

Oggi, dovendosi ridurre – come prima delle priorità nazionali – il debito pubblico, la strada delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni dovrà essere imboccata di nuovo e in fretta, che piaccia o no. Di sicuro non c’è spazio per “rinazionalizzazioni” né temporanee né permanenti delle TLC. E allora? Non solo lo Stato non potrà investire ma non potranno farlo in modo massiccio neppure istituzioni collaterali come la Cassa Depositi e Prestiti che, per essere utili al sistema-paese oltre che ai propri sottoscrittori, dovranno valutare con la massima oculatezza gli interventi da attivare.

Nel rispetto del dettato europeo, dunque le regole per la NGN (Next Generation Network) dovrebbero essere meglio adattate al nuovo scenario con l’obiettivo di rassicurare e liberare le energie del settore privato. Non vi sarà alcun “consorzio di operatori”, questo è certo, nessuna rete unica da Campione d’Italia a Mazara del Vallo, ma ogni operatore dovrà, secondo le proprie possibilità e interessi, contribuire a questo progetto attraverso il quale passa anche la capacità di posizionarsi nel mercato del futuro.

Lo scenario più credibile è quello – promosso con coerente convinzione e ormai avanzato in Francia – dei coinvestimenti nelle infrastrutture, mantenendo ciascun operatore la propria identità e autonomia. Disponendo ogni operatore di proprie porzioni di infrastruttura di rete, senza duplicare i costi delle opere civili grazie alle iniziative di cofinanziamento, è assicurato il processo virtuoso detto della “scala degli investimenti” che consente a ciascuno di ideare e realizzare nuovi servizi, di contendersi i clienti in modo più efficace e di crescere in un sano ambiente competitivo. Chi non ha la sufficiente massa critica imprenditoriale per sopravvivere in questo scenario è spinto a formulare accordi (come quello, meritevole, già promosso dall’associazione degli internet provider, AIIP, con la costituzione di FOS, esperienza che dovrebbe crescere con decisione) e a realizzare fusioni tra imprese in tutte le forme possibili. Nel radiomobile opera una concorrenza efficiente con soli quattro grandi operatori e un numero molto limitato di altri player di più piccola dimensione: perché nel mercato delle telecomunicazioni fisse si dovrebbe ritenere desiderabile un regime di estrema frammentazione? Cui prodest? Un problema del paese è quello dell’eccessiva polverizzazione di piccoli soggetti che spiega in parte la gracilità della base produttiva: è una sfortuna che, almeno in parte, anche nelle TLC si replichi questo rachitismo imprenditoriale.

Purtroppo si è dedicato più di un anno a cercare una soluzione impraticabile, “la società unica per gestire una rete unica”. Non si può più perdere tempo con inutili minuetti. Occorre una rapida sterzata per rilanciare le TLC, che possono, anzi devono, dare un contributo essenziale alla ripresa del Paese. Se faremo le scelte giuste, si accrescerà il valore delle azioni in borsa, allontanando il rischio di scalata su aziende importanti, si creerà occupazione in un settore fiaccato da anni di difficoltà, si genererà valore per il cittadino e per le imprese nazionali, specialmente quelle piccole che hanno necessità vitale di informatica e telecomunicazioni per competere meglio sui mercati internazionali.

Le idee concrete non mancano su come promuovere la NGN in Italia, ma occorre subito rimboccarsi le maniche senza perdere altro tempo prezioso. Sciaguratamente nei mesi scorsi queste idee sono state messe da parte per lasciare strada ad una pericolosa utopia: il “pensiero unico della rete unica”. In un recente convegno il presidente di Arcep (la Agcom francese), Monsieur Silicani, pur senza mai nominare il nostro Paese ha bollato con queste semplici parole la soluzione consortile che ha caratterizzato la fallimentare “via italiana alla NGN”: «Cette solution, très séduisante sur le papier, est largement utopique.».

A volte le utopie sono molto affascinanti, ma più spesso si rivelano solo disastrose.

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