Primogenito di papà Clint, Kyle Eastwood, classe ’68, è il primo appuntamento “internazionale”, di un Fab Four assolutamente musicale. All’interno di Jazz in’it, dal 27 al 29 maggio al Teatro Fabbri di Vignola (Modena), il figliol prodigo suonerà il suo amato basso domenica 29 alle 21, assieme a Martyn Kaine alla batteria, Andrew McCormak al piano, Graeme Blevins al Sax, Graeme Flowers alla tromba. Diciamolo subito, Kyle non è un genio del jazz, o almeno non ha mai composto brani memorabili.

La ritmica e la melodia del nostro richiamano sempre quell’epopea post fusion che un jazzista odierno, se non si vuol sentir dare del nostalgico o del “vecchio”, deve a tutti i costi rivivere e rivisitare. Gli album Paris Blue (2004) o Metropolitain (2009) hanno quell’aria di una reunion tra John McLaughlin e Gary Burton in concerto, che dopo un pochino invitano alla distrazione per i propri affari personali.

Semmai dove il ragazzone ha dato il meglio di sé è insieme al padre nel comporre le colonne sonore di autentici must del cinema del nuovo secolo: Mystic River, The million dollar baby e Flags of our fathers dove è ancora compositore di alcuni brani e arrangiatore; Lettere da Iwo Jima, Gran Torino, Invictus dove assieme a Marc Stevens firma l’intera line-up musicale dei film del padre. Con l’ultimo album appena uscito, Songs from the chateaux, sembra essersi rinsavito grazie all’apporto di tromba e sax che riescono a fornirgli quell’apertura ariosa e sinuosa, forse una nuova strada per allontanarsi dall’ombra lunga “suono prolungato dei tasti del pianoforte” per cui papà è diventato orecchiabile.

Dispersi quasi al confine padano con la Lombardia, da venerdì 27 a domenica 29, presso San Martino Spino (Modena), si può seguire la tre giorni di musica indipendente: Musica nelle Valli 2011. I partecipanti dall’Italia, Usa, Portogallo, Serbia, Canada e Giappone sono almeno una trentina e si esibiscono dalle 15 a notte inoltrata. Noi segnaliamo su tutti gli Arbe Garbe che suonano sabato nel pomeriggio. Cinque musicisti friulani che dal vivo sono ben più devastanti che su cd. Per loro va usata la parola “eclettici”. Proprio perché  Marco Bianchini alla batteria, Flavio Zanuttini alla tromba, Federico Galvani alla fisarmonica, Roberto Fabrizio alla chitarra e voce, Giacomo Zanuttini alla tuba, attraversano i generi con sfrenata e attenta disinvoltura.

Quando nel 2002 iniziarono con Jacume! e subito dopo nel 2004 con Jubilaeum sembrava che il loro lavoro fosse indissolubilmente legato alle radici folk di un dialetto (beneciano) e di una tradizione popolare scossa da un tempo accelerato di fisarmonica, batteria e vocalizzazione prepotente. Poi sono arrivate altre scosse telluriche e si è arrivati all’ultimo album Arbeit Garbeit (2011) dove si sono ficcati direttamente nel punk noise suonando tromba e fisarmonica. Il risultato è strabiliante, perché gli Arbe Garbe sembrano tirare dritti per la loro strada, fregandosene di qualsiasi moda o fine commerciale. Dimenticavo. Alla Musica nelle Valli si fa come a Woodstock: si può pure rimanere piantando le tende e parcheggiando il camper…

Il 28 maggio alle 21 al teatro Nuovo di Salsomaggiore (Parma) è la volta di Enrico Ruggeri nel Che giorno sarà tour 2011. Debutto curioso e nascosto ai riflettori per uno dei più intriganti musicisti anni ’80 che, dopo ventinove album all’attivo, ha deciso di dedicarsi alla televisione e perfino alla letteratura. Dalla conduzione de Il bivio al giurato di X-Factor, Ruggeri ha sempre serbato in sé una rabbiosa e grintosa malinconia sfociate nel romanzo Che giorno sarà, storia del cantante Francesco Ronchi, musicista fallito che agli inizi degli anni ’90 suona sul palco di un piccolo locale di città e tra una cover e l’altra, ripercorre la sua storia, le sue passioni, le sue piccoli grandi miserie e il suo fallimento. Che giorno sarà è diventato un tour. E visto che non ci sono album da promuovere attendiamo un bel rockeggiare dei vecchi successi.

Per capire come costruire un mobile Ikea e allo stesso tempo comprendere come costruire rapporti umani, anzi sociali, la band Lo stato sociale ripropone alla Giovine Italia di Parma (sabato 28 alle ore 21) il nuovo ep Amore ai tempi dell’Ikea (etichetta Garrincha). I giovinetti (Laura Agnusdei, Alberto Cazzola, Lodo Guenzi, Alberto Guidetti, Luca Leonelli) si sono incontrati nelle stanze di Radio Città Fujiko di Bologna e tra l’estate del 2009 e l’inverno del 2010 hanno creato il primo ep Welfare pop, condendolo di una innata attitudine al testo articolato e di un curioso revival di musica elettronica che sembra sempre uscire da qualche studio di registrazione modello cantina. Amore ai tempi dell’Ikea si forgia di un ricco arrangiamento dove sbucano qualche violino, qualche sax (baritono?) e il coretto si trasforma in un hip-hop davvero surreale. Perché per quelli de Lo stato sociale, “la perizia e l’insana passione con cui ti dedichi a scatole di cartone questo si è determinante”.

E se ve li siete persi…

Al teatro San Martino di Bologna fino al 28 maggio va in scena Noosfera-Lucignolo di e con Roberto Latini. “Penso al Pinocchio di Collodi come ad un piccolo manuale dell’italianità”, ha affermato Latini, “La ricerca di un futuro diverso, fatalmente prima di un futuro migliore, è quanto muove Lucignolo. Andare via, ancora prima di una destinazione, ancora prima di un qualsiasi Paese dei balocchi, corrisponde a tanto diffuso sentire. Senza riferimenti ad alcuna metafora educativa, senza le comodità delle principali letture, Lucignolo è il figlio di un malessere che non si accontenta della sola aspirazione, non si consola, agisce, inseguendo la certezza di un miraggio e paga il conto del proprio sogno. Viva Lucignolo ho pensato, e la sua sfacciata ignoranza, piuttosto che il perbenismo desolante di questa cultura”.

Sperando di non incorrere negli strali delle alte sfere, ricordiamo che in decine di sale dell’Emilia-Romagna (al Lumiere di Bologna in lingua originale con sottotitoli) è in programmazione The tree of life, l’ultima fatica, nonché fresca Palma d’oro, di Terrence Malick. Film che va subito visto, tanto nel prossimo fine settimana viene a piovere, perché Terrence Malick, cinque film in trent’anni di carriera, in due ore e rotte, racconta le origini della vita umana sulla terra.

E lo fa con una grazia e un rigore estetico da fare spavento. Qualcuno potrà avere qualcosa da ridere dal minuto dieci al minuto venticinque quando si perdono le tracce di Brad Pitt e famiglia per seguire cellule, animali, mari e rocce, spazi cosmici, dinosauri che della mascella hollywoodiana più sovraesposta dai rotocalchi delle palestre, sono semplicemente gli antenati. Il resto è sinfonia visiva e narrativa dagli echi biblici, dal dolore palpabile; uno stile in controtendenza con i canoni classici dell’inquadratura cinematografica (osservate da dove inquadra i corpi Malick, qualcosa come ad altezza fianco) a cui si risponde solo con un umile grazie. Imperdibile.

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