NEW YORK – L’opzione militare si avvicina, specie se la situazione non si sbloccherà e se ci saranno nuove violazioni dei diritti umani contro la popolazione civile in Libia. Il presidente Barack Obama lo sottolinea nello studio ovale della Casa Bianca, con a fianco il premier australiano, Julia Gillard. La Nato sta predendo in considerazione “una vasta gamma di opzioni – ha detto il presidente – tra cui potenziali opzioni militari”.

L’aggettivo “potenziale” è la chiave per capire quello che potrebbe accadere nella prossime ore e nei prossimi giorni. Washington non prevede necessariamente l’uso immediato della forza, ma mette comunque a punto i piani dettagli dei cosiddetti “contingency plan”: i vertici militari non vogliono trovarsi impreparati nel caso in cui fossero chiamati ad intervenire. Da diversi giorni ormai, l’ex avversario di Obama alle elezioni, il senatore repubblicano John McCain, si spende a favore dell’opzione militare. Sulla carta, la Casa Bianca non esclude un intervento di terra (la dottrina degli Stati Uniti è sempre quella che prevede “tutte le opzioni” sul tavolo), ma difficilmente gli americani o gli alleati manderanno i loro uomini in Libia, almeno per il momento.

Quello che si sta studiando “seriamente”, sottolineano fonti militari e diplomatiche, sono le no fly zone, cioé il divieto di volare imposto agli aerei libici che bombardano la popolazione ribelle. Imporre un divieto di sorvolo è un’operazione complessa e costosa, che richiede l’utilizzo di aerei (per il monitoraggio e la neutralizzazione delle violazioni) i quali devono essere disponibili in gran numero e in qualunque momento. Se veramente fosse varata una no-fly zone sulla Libia – un Paese grande tre volte la Francia – i Paesi coinvolti nelle operazioni dovrebbero anzitutto preoccuparsi della possibilità di razzi terra-aria contro i loro aerei, oltre che dell’eventualità di uno scontro diretto con l’aeronautica di Tripoli.

Un’eventuale intervento sui cieli della Libia è complicato non solo dalla sua natura, ma anche per l’opposizione di Russia e Cina, che potrebbero bloccare un’iniziativa del genere al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite. Da Mosca, il ministro degli esteri Serghei Lavrov ha detto che vanno evitati “interventi stranieri, soprattutto di natura militare: i libici devono risolvere i loro problemi da soli“. Lavrov, che prima di essere ministro è stato ambasciatore della Russia proprio all’Onu, ha detto che certamente è “necessario fermare le violenze ai danni di civili” ma bisogna “porre la situazione su una base politica”, non militare.

Alle Nazioni Unite anche altri Paesi, pur appoggiando i rivoltosi e opponendosi a Muammar Gheddafi, preferiscono escludere l’opzione militare. Ora tutto dipenderà dalla situazione sul terreno e a livello geopolitico. Il Consiglio per la cooperazione dei Paesi del Golfo (Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Oman, Kuwait e Qatar) ha chiesto all’Onu di intervenire per proteggere la popolazione civile, anche con le no fly zone. Fonti diplomatiche occidentali hanno sottolineato che se altre voci dal Medio Oriente si uniranno al coro che vuole un intervento militare, il fronte Usa-Gb-Francia potrebbe convincere lo scetticismo di Russia e Cina (e degli altri Paesi). Gli occidentali stanno lavorando ad una risoluzione dell’Onu per autorizzare le no fly zone ma sottolineano che al momento non ci sono “né calendari né scadenze” per il suo voto. Anzi, uno di loro ha detto di “sperare di non doverla presentare al Consiglio di Sicurezza”, perché, ha spiegato un suo collega, “quando fai ricorso alla forza, sai dove inizi ma non sai dove vai a finire”.

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