Volevano ucciderlo. Ma ai due killer è andata male. Non sono bastati quattro colpi di pistola per ammazzare l’imprenditore Tiberio Bentivoglio, attivista dell’associazione antimafia “Libera”. L’uomo, di 58 anni, è uscito quasi indenne dall’attentato. I colpi, infatti, lo hanno ferito a un polpaccio mentre scendeva dal suo furgoncino. All’alba si era recato nel suo terreno di Ortì, una frazione pedemontana di Reggio Calabria proprio sotto Gambarie.

Bentivoglio è stato raggiunto alle spalle. Dopodiché i sicari hanno sparato con una pistola calibro 7 e 65. Colpi esplosi da una distanza di dieci metri. Due hanno sforacchiato il furgone ad altezza d’uomo. Il terzo lo ha sfiorato colpendo il marsupio che l’imprenditore teneva a tracollo. Solo un caso ha voluto che il proiettile non raggiungesse Tiberio Bentivoglio al torace. Il quarto colpo, infine, lo ha ferito alla gamba prima che l’attivista di Libera riuscisse a ripararsi e a sentire solo la moto che si allontanava con i sicari a bordo. Ad avvertire la polizia e il 118 è stato lo stesso Bentivoglio che è stato soccorso e accompagnato in ospedale dove è stato ricoverato in stato di choc. È riuscito appena a spiegare alla Mobile la dinamica dell’agguato. Una ricostruzione solo parziale. Bentivoglio, infatti, non ha visto in faccia chi, molto probabilmente, voleva fargli pagare le denunce contro la ‘ndrangheta presentate negli ultimi anni e i continui appelli per la legalità che Tiberio lanciava dal pulpito dell’associazione di don Ciotti, diretta a Reggio da Mimmo Nasone.

In passato Bentivoglio è stato vittima di gravi intimidazioni. Arrivate dopo la denuncia del racket delle cosche che, in almeno due occasioni, gli avevano distrutto la sanitaria “Sant’Elia” di proprietà della moglie.

Le vicende che lo hanno visto vittima della ‘ndrangheta sono state al centro dei processi “Eremo” e “Pietrastorta” nell’ambito dei quali Bentivoglio ha reso dichiarazioni coraggiose in aula. Dichiarazioni che, purtroppo, non hanno portato alla condanna degli imputati per la bomba alla sanitaria “Sant’Elia”. Imputati che, tuttavia, sono stati ritenuti colpevoli per associazione a delinquere di stampo mafioso.

Stando alle vecchie indagini del sostituto procuratore della Dda Mario Andrigo, in passato Bentivoglio e la moglie sono stati minacciati dal boss Santo Crucitti e dal braccio destro Giuseppe Romeo e “invitati” a recedere dall’iniziativa di dare vita a un’associazione culturale a Pietrastorta. Minaccia che sarebbe consistita nel fare esplodere appunto un ordigno davanti al negozio di articoli per l’infanzia “Sanitaria Sant’Elia”, gestito dalle vittime in via Reggio Campi.

Intimidazione che si è consumata il 13 aprile 2005 quando una bomba (la seconda nel giro di due anni) ha devastato l’esercizio commerciale di Tiberio Bentivoglio. Quest’ultimo non avrebbe ricevuto il placet del boss come emerge in un intercettazione ambientale tra Giuseppe Romeo e Pasquale Morisani, oggi consigliere comunale di centrodestra.

MORISANI: Quella dice che hanno fatto l’associazione.

ROMEO: Di che, culturale?

MORISANI: Lei…

ROMEO: La moglie di Nicola…

MORISANI: Nicola chi?

ROMEO: Marra!

MORISANI: No, Nicola…

ROMEO: La moglie di Nicola…

MORISANI: Chi l’ha fatta sono: la moglie di coso…quella…

ROMEO: Quella della…quella sanitaria…

MORISANI: …marito e moglie…

ROMEO: …della sanitaria, e dove si vogliono mettere?

MORISANI: …da Consolato Marcianò.

ROMEO: Eh, lo so…

MORISANI: Te l’aveva detto?

ROMEO: No, mi ha chiamato il prete…te lo ha detto…del prete?

MORISANI: No, me l’ha detto Cecilia che è andata dal prete e gliel’ha detto il prete, gli ha detto che si è spaventato, gli ha detto che glielo dovevano dire prima…

ROMEO: Uhm, mi ha chiamato il prete…no, no, mi ha chiamato il prete e mi ha detto.., segretamente, che è andato Santo e gli ha detto di non fare niente la sopra…al che mi ha suonato strano…(inc.)…Santo, ho chiamato a Santo…Santo che cazzo hai in testa, possibile che dice…la devono fare la sopra…nella casa di Consolato…la sede…

Tiberio Bentivoglio ha continuato la sua lotta contro la ‘ndrangheta, contro il pizzo diventando negli anni un “simbolo” di Libera come sostiene il referente dell’associazione di Don Ciotti, Mimmo Nasone, secondo cui l’agguato di stamattina “è un episodio inqualificabile. Ora è abbattuto, spaventato. Ha paura anche per la sua famiglia ma non e’ solo. Tutta Libera è con lui, e lo sono anche tutte le persone oneste. La migliore solidarietà è che ognuno faccia la propria parte, e che i commercianti denuncino il racket”.

Intanto gli uomini della squadra Mobile di Reggio Calabria guidati da Renato Cortese hanno avviato le indagini per individuare i responsabili e i mandanti dell’attentato. Si scava negli ultimi giorni della vittima, non è escluso che abbia avuto diverbi con qualcuno. Sono scattate le perquisizioni nelle abitazioni dei pregiudicati della zona. L’inchiesta è coordinata dal sostituto procuratore Francesco Tedesco, ma il  fascicolo potrebbe passare alla Direzione distrettuale antimafia.

di Lucio Musolino

Articolo Precedente

Giovanni Bollea, ricordo di un artista dell’essere

next
Articolo Successivo

Alla ricerca del sindaco leghista e ultrà

next