Il 6 marzo scorso si è concluso, a quasi tre anni dal suo avvio, il primo grado di giudizio della prima causa intentata in Italia contro lo Stato per inazione sulla crisi climatica. Il Tribunale civile di Roma ha dichiarato irricevibile la causa “Giudizio Universale”, portata da 24 associazioni, 179 persone e dal team legale della rete “Legalità per il Clima”, per “difetto assoluto di giurisdizione”, nel senso che secondo la giudice di Roma in Italia non esistono tribunali in grado di decidere su questo tema, perché la questione dell’emergenza climatica, che il Tribunale riconosce essere una questione cruciale, investirebbe un’area sottratta ai giudici, in quanto espressione di attività politica, come tale “insindacabile” da parte della magistratura. E questa insindacabilità agisce al di là della nostra appartenenza all’Unione europea, delle numerose leggi sul clima che sono state adottate e sono vincolanti per l’Italia e della Carta dei Diritti Fondamentali della Ue, che non valgono per i giudici romani. Come spiega Luciana Cardelli nel suo articolo su La Costituzione.info, questa posizione è altamente discutibile, dato che nell’ordinamento italiano si prevede un’area sottratta all’azione giudiziaria ma entro limiti molto stretti che non paiono esistere in questo caso.

Alla luce di questa sconcertante decisione, la sentenza della Grande camera della Corte di Giustizia dei Diritti Umani a Strasburgo del 9 aprile, contro la Svizzera e a favore dell’Associazione “Signore Anziane per il clima” (Verein KlimaSeniorinnen Schweiz, che riunisce 2.500 donne ultrasessantacinquenni) assume un valore speciale proprio per il nostro paese proprio per gli argomenti portati a sostegno della decisione.

La Corte con questa sentenza riconosce per la prima volta che l’inazione sul clima rappresenta una violazione dei diritti umani. L’unico a dissentire è stato il giudice britannico Tim Eicke, che già nel 2021 aveva detto che la Cedu non è stata concepita per i casi ambientali. A suo avviso, la sentenza non fa una reale differenza nella lotta al cambiamento climatico e gli altri giudici stavano “dando la (falsa) speranza che il contenzioso e i tribunali possano fornire la risposta”.

La Grande Camera è l’organo della Corte responsabile di decidere sui casi più gravi e innovativi e le sue decisioni sono vincolanti per gli Stati membri del Consiglio d’Europa e senza appello. In questo senso, la decisione riguardante la Svizzera rappresenta un precedente applicabile anche per gli altri ordinamenti nazionali. Le ricorrenti avevano basato il loro ricorso sul fatto che le persone anziane sono particolarmente vulnerabili di fronte a fenomeni meteorologici estremi e hanno chiesto di ordinare alla Svizzera di fare molto di più per contribuire a mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di 1,5°C, l’obiettivo fissato a livello globale.

Il governo svizzero, da parte sua, pur condividendo che l’aumento delle temperature danneggia la salute delle persone, ha sostenuto in tribunale che le KlimaSeniorinnen non dovrebbero essere trattate come “vittime” secondo l’art. 34 della Convenzione in quanto il legame tra le sue azioni e le loro sofferenze è “troppo tenue e remoto”; infatti, poiché molte delle ricorrenti hanno più di 80 anni e alcune sono addirittura morte durante il percorso della causa, sarà improbabile che saranno ancora vive (!) quando e se le temperature si alzeranno oltre il grado e mezzo.

La Corte, che è l’autorità competente per l’interpretazione della Convenzione dei Diritti Umani, ha invece ritenuto che la Svizzera abbia violato l’articolo 8 della Convenzione, che comprende il diritto degli individui a una protezione effettiva da parte delle autorità statali contro i gravi effetti negativi del cambiamento climatico sulla loro vita, salute, benessere e qualità della vita. La Svizzera ha anche violato l’art. 6 sull’accesso al giudizio di un tribunale perché aveva respinto il ricorso dell’associazione sulla base di considerazioni “inadeguate”. Inoltre che la Corte, in quella che potrebbe rappresentare una risposta indiretta alle motivazioni della sentenza del Tribunale di Roma contro la causa “Giudizio Universale”, ritiene che pur se “le misure volte a combattere il cambiamento climatico e i suoi effetti negativi richiedono un’azione legislativa sia in termini di quadro politico che in vari ambiti settoriali” e che “tale azione dipende necessariamente da un processo decisionale democratico” c’è un chiaro spazio di azione dei giudici dato che “il mandato dei tribunali nazionali e di questa Corte è complementare a tali processi democratici”.

Nella stessa occasione, la Grande Camera ha anche dichiarato irricevibili altri tre ricorsi sullo stesso tema, che avevano coinvolto altri due paesi, la Francia, accusata dall’ex sindaco di Grande-Synthe, ora europarlamentare, Damien Carême, e il Portogallo, messo sotto accusa da sei giovani portoghesi che hanno citato in giudizio ben 32 Paesi (i 27 membri dell’Unione Europea, oltre a Regno Unito, Svizzera, Norvegia, Turchia e Russia). Nel caso francese, la Corte ha motivato la sua decisione, sostenendo che il ricorrente non aveva lo status di vittima ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione perché non viveva più a Grande Synthe; nel caso Duarte Agostinho e altri la Corte ha ritenuto che non vi fossero motivi nella Convenzione per estendere la loro giurisdizione extraterritoriale nel modo richiesto dai ricorrenti e dato che i ricorrenti non avevano intrapreso alcuna via legale in Portogallo in merito alle loro denunce, il ricorso era inoltre irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. Il terzo ricorso respinto è stato quello di quattro persone che si sono aggiunte alla causa dell’associazione delle Signore anziane per il Clima, perché come nel caso dell’ex sindaco francese, non ricorrevano le condizioni per essere considerate “vittime” secondo i criteri dell’art.34 della Convenzione.

È interessante allora capire perché la Corte ha considerato ricevibile il ricorso delle “Signore Anziane per il Clima” perché ci sono condizioni che comunque delimitano le possibilità di ricorso. La Corte spiega che “perché un’associazione abbia il diritto di agire per conto di singoli individui e di presentare un ricorso per la presunta incapacità di uno Stato di adottare misure adeguate per proteggerli dagli effetti nocivi del cambiamento climatico sulla loro vita e sulla loro salute”, deve tra l’altro essere legalmente stabilita nel paese interessato e deve dimostrare di volere difendere i diritti specifici dei suoi membri o di altri individui interessati all’interno di quel paese, deve essere in grado di dimostrare di poter essere considerata “realmente qualificata e rappresentativa” per agire per conto dei membri o di altre persone colpite dagli effetti negativi dei cambiamenti climatici sulla loro vita, salute o benessere, come tutelato dalla Convenzione.

Anche se questa è la prima volta che la Corte europea sui diritti umani si pronuncia sul Clima, sono ormai piuttosto numerosi i paesi nei quali i giudici hanno emesso sentenze che ingiungono ai governi di agire con maggiore efficacia sui cambiamenti climatici. Gli effetti sono stati disomogenei e proporzionali all’esistenza o meno di una pressione politica e sociale reale sul tema: in Olanda, primo paese nel quale i giudici hanno agito, si è imposto al governo di ridurre del 25% le emissioni entro il 2020; in Germania il ricorso ha comportato una modifica della legge sul Clima; in Francia la possente mobilitazione che ha interessato milioni di persone con l’azione “Affaire du Siecle” ha portato ad una maggiore attenzione alla riduzione delle emissioni, riconosciute dagli stessi tribunali, ma ancora non sufficienti secondo i ricorrenti e ad un larghissimo dibattito pubblico che ha davvero cambiato la percezione dell’importanza dell’azione sul clima.

La situazione in Italia è, come abbiamo visto, molto diversa, anche per l’arretratezza culturale di cui fa spesso prova anche parte della magistratura, non solo nel caso di “Giudizio Universale”, ma anche nel modo “criminalizzante” di affrontare le proteste e il dissenso sulle politiche climatiche del governo. In questo senso, la sentenza della Corte di Strasburgo potrà forse contribuire, come è già stato per molte norme europee, a una evoluzione positiva della magistratura, dei media e della politica italiane.

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