Sul primo contenzioso climatico contro lo Stato italiano, il tribunale di Roma non decide. Si è chiuso con una pronuncia di inammissibilità il primo grado di giudizio nella causa climatica intitolata ‘Giudizio Universale’, intentata nel 2021 da 203 attori, tra cui 24 associazioni e 179 cittadini. La seconda sezione civile del Tribunale di Roma ha dichiarato inammissibili le domande proposte dagli attori “per difetto assoluto di giurisdizione del Tribunale”, come scrive nella sentenza di 14 pagine la giudice Assunta Canonaco. Ma l’associazione A Sud, primo ricorrente, ha annunciato che impugnerà la sentenza. “Si tratta di una occasione persa per le istanze sociali ed ambientali nel nostro paese. Secondo il tribunale nessun giudice italiano può tutelare i diritti fondamentali minacciati dalla inefficienza delle politiche climatiche dello Stato, come avvenuto in molti paesi europei” commenta Marica Di Pierri, portavoce di A Sud e co-coordinatrice della campagna Giudizio Universale, secondo cui si tratta di “una scelta di retroguardia ma – aggiunge – la volontà di non esprimersi del tribunale di Roma non comporta che non ci siano i presupposti per una condanna dello Stato”.

La sentenza del Tribunale di Roma – Con la causa si chiedeva al Tribunale di dichiarare che lo Stato italiano è responsabile di inadempienza nel contrasto all’emergenza climatica e che l’impegno messo in campo è insufficiente a centrare gli obiettivi e quindi viola diritti fondamentali dei cittadini. I ricorrenti chiedevano anche che lo Stato fosse obbligato “a ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 92% entro il 2030 rispetto ai livello 1990”. Nella sentenza, però, la giudice afferma che questo violerebbe “il principio di separazione dei poteri”. E lo fa in diversi passaggi. “Gli attori non chiedono una condanna al risarcimento del danno provocato da specifici provvedimenti normativi illeciti che avrebbero comportato la lesioni dei diritti umani fondamentali – scrive la giudice – ma una pronuncia di condanna dello Stato ad adottare qualsivoglia provvedimento necessario e idoneo a provocare l’abbattimento delle emissioni nazionali, al fine di prevenire la lesione futura di diritti umani”. La domanda risarcitoria, secondo il Tribunale, è diretta a chiedere un giudizio “sulle modalità di esercizio delle potestà statali previste dalla Costituzione”, per accertare la correttezza e la legittimità “di una serie di provvedimenti emanati dal legislatore e dal governo che, nel loro complesso, sono espressione della politica nazionale in materia di lotta al cambiamento climatico”. D’altronde, scrive la giudice, le valutazioni dei ricorrenti sull’inadeguatezza delle scelte politiche effettuate, basate su dati contestati dall’Avvocatura generale dello Stato (che, invece, ha allegato quelli di Ispra) non sarebbero “verificabili in questa sede, non disponendo questo giudice – si legge nella sentenza – delle informazioni necessarie per l’accertamento della correttezza delle complesse decisioni prese dal Parlamento e dal Governo”. In definitiva “le decisioni relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento climatico antropogenico rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici e non sono sanzionabili nell’odierno giudizio”.

Le reazioni dei ricorrenti: “Impugneremo la decisione” – Rispetto a questi ultimi passaggi e al fatto che la giudice affermi, nel dispositivo, di “non disporre delle informazioni necessarie”, i ricorrenti ricordano che, però, è stata rifiutata “la nomina d’ufficio di un esperto tecnico che potesse confermare o meno i dati portati alla sua attenzione”. “Non possiamo negare di essere delusi dall’esito del processo ed è certo che impugneremo la decisione” annuncia Marica Di Pierri, ricordando battaglie su altri fronti. “La strada per ottenere giustizia in tribunale può essere lunga – aggiunge – basti pensare al cammino che hanno dovuto percorrere le cause contro l’amianto”. Secondo il team legale che ha seguito la causa, composto da avvocati e giuristi appartenenti alla “Rete Legalità per il clima” la sentenza, per un verso, si pone palesemente in contrasto con la Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea e con la Cedu, “strumenti di tutela che non contemplano limiti di accesso al giudice nelle questioni climatiche”. Per altro verso “è anche contraddittoria – spiegano gli avvocati – perché, da un lato, riconosce la gravità e urgenza letale dell’emergenza climatica, dall’altro sostiene che in Italia non esisterebbe la possibilità di rivolgersi a un giudice per ottenere tutela preventiva contro questa situazione, nonostante siffatta tutela sia stata riconosciuta dalla Corte costituzionale”. Tra i ricorrenti dell’azione legale Luca Mercalli, climatologo e divulgatore, presidente della Società Meteorologica Italiana. “In molti paesi i tribunali hanno fatto la differenza, peccato che in Italia si sia persa questa importante occasione e tempo prezioso” commenta. “Però l’emergenza climatica non aspetta – spiega Mercalli – e si manifesta con particolare severità proprio sul Mediterraneo”.

I precedenti degli altri Paesi europei – Dopo più di due anni e mezzo di udienze e migliaia di pagine di documentazione prodotta, i ricorrenti si aspettavano un altro finale, mentre la sentenza segna quella che definiscono “una distanza siderale rispetto ad altri Stati Europei in cui cause analoghe, con analoghi costrutti, basate su simili istituti giuridici di diritto civile, si sono concluse con importanti sentenze di accoglimento”. Tra i precedenti europei, infatti, c’è la sentenza del 20 dicembre 2020 emessa in seguito alla causa della fondazione olandese Urgenda e con cui la Corte Suprema olandese ha ordinato al governo nazionale a ridurre del 25 per cento le emissioni di CO2 nell’atmosfera entro la fine del 2020 e del 40 per cento entro il 2030, in linea con i propri obblighi in materia di diritti umani. E, di fatto, a commentare la sentenza del Tribunale di Roma, c’è anche Marjan Minnesma, direttrice di Urgenda: “C’è un divario crescente tra le promesse dei nostri governi e le azioni che intraprendono nell’affrontare l’emergenza climatica. La sentenza Urgenda nei Paesi Bassi ha dimostrato che i tribunali hanno un ruolo cruciale nell’esaminare se i governi stiano facendo abbastanza per ridurre le emissioni di gas serra e quindi salvaguardare i diritti fondamentali dei loro cittadini”. Numerosi tribunali in tutto il mondo hanno seguito questo precedente, rafforzando così le politiche climatiche e la tutela dei diritti umani nei loro paesi. “I tribunali italiani – continua – non dovrebbero sottrarsi al loro dovere costituzionale”. Ma non c’è solo la sentenza olandese. Anche il Tribunale amministrativo di Parigi, il 3 febbraio 2021, ha riconosciuto una diretta responsabilità omissiva dello Stato francese in relazione agli obiettivi e agli impegni dell’Unione Europea e nazionali in materia di riduzione dei gas a effetto serra. E poi c’è la sentenza emessa il 29 aprile 2021 dalla Corte Costituzionale tedesca, che ha ritenuto la legge sul cambiamento climatico adottata da Berlino nel 2019 inadeguata a raggiungere gli obiettivi posti dagli obblighi internazionali sulla riduzione di emissioni di gas serra assunti da quest’ultimo.

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