“I dossier che avrebbero potuto documentare i terribili atti e indicare il nome dei responsabili sono stati distrutti o nemmeno creati. Invece dei colpevoli, a essere riprese sono state le vittime ed è stato imposto loro il silenzio”. È la forte denuncia fatta dal cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga, diocesi che fu di Joseph Ratzinger, e membro dei consiglio di porporati che aiuta Papa Francesco nella riforma della Curia romana. Prima di intervenire sul tema della trasparenza al summit sulla pedofilia convocato dal Papa in Vaticano, Marx ha incontrato 16 vittime di abusi del gruppo ECA (Ending Clerical Abuse), di cui fa parte anche Peter Saunders, l’ex membro della Pontificia Commissione per la tutela dei minori dimessosi in polemica con gli occultamenti del Vaticano. Queste vittime erano rimaste escluse dall’incontro che si era tenuto, alla vigilia dell’inizio del summit, con 12 persone abusate e i membri del comitato organizzatore del vertice sulla pedofilia.

“Gli abusi sessuali nei confronti di bambini e di giovani – ha spiegato Marx – sono in non lieve misura dovuti all’abuso di potere nell’ambito dell’amministrazione. A tale riguardo, l’amministrazione non ha contribuito ad adempiere la missione della Chiesa ma, al contrario, l’ha oscurata, screditata e resa impossibile”. Per il porporato, infatti, “le procedure e i procedimenti stabiliti per perseguire i reati sono stati deliberatamente disattesi, e anzi cancellati o scavalcati. I diritti delle vittime sono stati di fatto calpestati e lasciati all’arbitrio di singoli individui. Sono tutti eventi in netta contraddizione con ciò che la Chiesa dovrebbe rappresentare. Il modo in cui l’amministrazione della Chiesa è stata strutturata e svolta non ha contribuito a unire tutto il genere umano e ad avvicinare di più gli uomini a Dio ma, al contrario, ha violato tali obiettivi”.

Per il presidente dei vescovi tedeschi “non esistono alternative alla tracciabilità e alla trasparenza”. Esse, ha precisato Marx, “non arrivano dal nulla. Sono un impegno costante, che si può adempiere anche con il sostegno di esperti esterni alla Chiesa. A essere decisivo è sempre l’atteggiamento personale di coloro che lavorano nell’amministrazione e di coloro che ne sono responsabili. In sostanza, si tratta della domanda fino a che punto si è disposti a giustificare le proprie azioni con gli altri e, in qualche misura, anche a essere controllati da altri”.

Come era avvenuto all’inizio dei lavori, anche durante il dibattito è stata ascoltata la testimonianza di una vittima. Parole che hanno scosso i cardinali e i vescovi presenti, alcuni dei quali hanno ammesso di non aver mai incontrato persone abusate prima di questo vertice. “Volevo raccontarvi – ha affermato la vittima – di quand’ero bambina. Ma è inutile farlo perché a 11 anni un sacerdote della mia parrocchia ha distrutto la mia vita. Da allora io, che adoravo i colori e facevo capriole sui prati spensierata, non sono più esistita. Restano invece incise nei miei occhi, nelle orecchie, nel naso, nel corpo, nell’anima tutte le volte in cui, lui, bloccava me bambina con una forza sovrumana: io mi anestetizzavo, restavo in apnea, uscivo dal mio corpo, cercavo disperatamente con gli occhi una finestra per guardare fuori, in attesa che tutto finisse. Pensavo: ‘Se non mi muovo, forse non sentirò nulla; se non respiro, forse potrei morire’. Quando terminava, riprendevo quello che era il mio corpo, ferito e umiliato e me ne andavo credendo persino di essermi immaginata tutto. Ma come potevo io, bambina, capire ciò che era accaduto? Pensavo: ‘Sarà stata sicuramente colpa mia!’ o ‘mi sarò meritata questo male?’. Questi pensieri sono le più grandi lacerazioni che l’abuso e l’abusatore ti insinuano nel cuore, più delle ferite stesse che lacerano il corpo. Sentivo di non valere ormai più nulla, neppure di esistere. Volevo solo morire: ci ho provato… non ci sono riuscita. L’abuso è continuato per 5 anni. Nessuno se n’è accorto”.

Tre le donne invitate a tenere una relazione al summit. Linda Ghisoni, sottosegretario del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, ha chiesto ai cardinali e ai vescovi presenti di “lavorare affinché in futuro non desti più tanto clamore un evento come questo meeting, e la Chiesa, Popolo di Dio, si prenda cura, in modo competente, responsabile e amorevole, delle persone coinvolte, di quanto accaduto, affinché la prevenzione non si esaurisca in un bel programma, ma divenga atteggiamento pastorale ordinario”. Le ha fatto eco suor Veronica Openibo, superiora generale della Società del Santo Bambino Gesù, che ha aggiunto: “Ho letto con grande interesse molti articoli sulle reazioni del Papa nel caso dei vescovi cileni, dalla negazione delle accuse alla rabbia per l’inganno e l’insabbiamento, all’accettazione delle dimissioni di tre vescovi. L’ammiro, Fratel Francesco, per essersi preso del tempo, da vero gesuita, per discernere e per essere abbastanza umile da cambiare idea, chiedere scusa e agire: un esempio per tutti noi”. L’ultimo intervento è stato di Valentina Alazraki, vaticanista dell’emittente messicana Noticieros Televisa fin dal 1974. Una scelta altrettanto significativa quella di invitare una giornalista a parlare alle gerarchie ecclesiastiche sulla trasparenza nei casi di pedofilia.

Intervenendo durante i lavori, Francesco ha sottolineato proprio l’importanza delle voci femminili nel dibattito. “Ho sentito – ha affermato Bergoglio – la Chiesa parlare di se stessa. Cioè tutti noi abbiamo parlato sulla Chiesa. In tutti gli interventi. Ma questa volta era la Chiesa stessa che parlava. Non è solo una questione di stile: il genio femminile che si rispecchia nella Chiesa che è donna. Invitare a parlare una donna non è entrare nella modalità di un femminismo ecclesiastico, perché alla fine ogni femminismo finisce con l’essere un machismo con la gonna. No. Invitare a parlare una donna sulle ferite della Chiesa è invitare la Chiesa a parlare su se stessa, sulle ferite che ha. E questo credo che sia il passo che noi dobbiamo fare con molta forza: la donna è l’immagine della Chiesa che è donna, è sposa, è madre. Uno stile. Senza questo stile parleremmo del popolo di Dio ma come organizzazione, forse sindacale, ma non come famiglia partorita dalla madre Chiesa”. Il Papa ha concluso che “non si tratta di dare più funzioni alla donna nella Chiesa – sì, questo è buono, ma così non si risolve il problema – si tratta di integrare la donna come figura della Chiesa nel nostro pensiero. E pensare anche la Chiesa con le categorie di una donna”.

Twitter: @FrancescoGrana

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