“Vuoi che la Catalogna sia uno Stato indipendente sotto forma di Repubblica?”. Oggi, i 5,3 milioni di aventi diritto al voto in Catalogna dovranno, se nonostante il divieto di Madrid riusciranno ad accedere alle urne, darsi una risposta alla domanda che potrebbe decidere il futuro della comunità autonoma nel nord-est della Spagna. Una lingua, un popolo, una bandiera e, quindi, una nazione, ripetono i sostenitori dell’indipendentismo. Ma anche e soprattutto un’economia. Con l’indipendenza, la Regione più ricca della Spagna diventerebbe uno dei Paesi economicamente più avanzati dell’Unione Europea (anche se sulla sua annessione immediata molti nutrono dei dubbi), liberata dalle richieste di Madrid che, soprattutto dopo la crisi economica del 2008, ha chiesto ai cittadini catalani un maggior contributo per sostenere le casse dello Stato. A tre anni dall’ultima consultazione informale che registrò un’affluenza di appena il 35% degli aventi diritto e l’80% di voti a favore dell’indipendenza, con questo nuovo referendum che Madrid definisce “illegale”, Barcellona sfida di nuovo il governo centrale e prova a diventare Nazione.

Dalla Guerra di Successione allo Statuto del 2006. Le origini del separatismo catalano
L’inizio ha una data precisa, anche se alcuni storici fanno risalire i sentimenti indipendentisti nella Regione ai secoli precedenti: 11 settembre 1714. Quel giorno Barcellona, una delle ultime città a opporsi all’avanzata dei Borbone a discapito della casata degli Asburgo nel conflitto generato dopo la morte senza eredi di Carlo II, nel 1700, dovette cedere dopo 14 mesi di resistenza all’avanzata dell’esercito borbonico.

Quello che per gli unionisti rimane uno degli episodi della Guerra di Successione spagnola, per i catalani è vissuto come la sconfitta delle prima importante guerra di secessione catalana. Non a caso, l’11 settembre di ogni anno si festeggia la Giornata Nazionale della Catalogna, o semplicemente la Diada, come viene chiamata dai cittadini catalani. Questa data viene rievocata ogni volta che le rivendicazioni indipendentiste tornano a farsi sentire. È solo pochi anni dopo, nel 1719, che vengono fondati i Mossos d’Esquadra, il corpo di polizia più antico d’Europa che ancora oggi svolge la propria attività nelle città catalane. Una delle occasioni dove mai mancano manifestazioni in favore della separazione della regione catalana è, ad esempio, il minuto 17.14 di ogni partita del Barcellona al Camp Nou: in quel preciso istante, gli spalti, generalmente zeppi di bandiere giallorosse con la stella bianca su sfondo blu, simbolo della regione autonoma, iniziano a intonare cori in favore dell’indipendenza, con i decibel che raggiungono i picchi stagionali quando l’avversario in campo sono i Blancos del Real Madrid, simbolo della capitale e del casato reale.

Forme di indipendentismo sono riaffiorate poi nell’800, durante il rinascimento catalano, e agli inizi del ‘900, con la nascita del primo partito indipendentista catalano, nel 1922, e il voto referendario che approvò il primo Statuto d’Autonomia della Catalogna, nel 1931. Lo scontro militare tra Barcellona e Madrid si è poi concretizzato sul finire della Guerra Civile di Spagna, nel 1939, quando la città catalana si oppose ai militari franchisti che avevano preso la capitale e stavano avanzando su tutto il territorio. Anche in quel caso, Barcellona dovette cedere alla dittatura e fino alla morte del Caudillo Francisco Franco, nel 1975, i cittadini dovettero subire restrizioni anche dal punto di vista culturale e linguistico, con il regime che vietò l’insegnamento e l’utilizzo della lingua catalana e abolì lo Statuto.

Solo dopo la fine del periodo franchista e l’approvazione della Costituzione spagnola, nel dicembre 1978, la Catalogna è tornata a chiedere l’autonomia che otterrà pochi mesi dopo, quando verrà approvato il nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna, nel 1979.

La crisi economica porta nuove rivendicazioni. Nel XXI secolo rinfuoca l’indipendentismo
Con l’entrata nel nuovo millennio, la questione dell’indipendenza catalana torna gradualmente a infuocare il dibattito tra Barcellona e Madrid. Il primo episodio fu l’approvazione del nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna, nel 2006. La popolazione, con un referendum, votò un nuovo testo che, tra le altre cose, definiva la Catalogna una Nazione. Documento che, però, la Corte Costituzionale spagnola ha dichiarato incostituzionale nel 2010. La decisione dei giudici scatenò la rabbia della popolazione che scese in piazza al grido di “Siamo una nazione, e vogliamo decidere”.

Dopo dei referendum organizzati nei comuni catalani nel 2009 e nel 2011, il sentimento nazionalista si concretizza nuovamente con il voto sull’indipendenza del 2014, coronamento di un progetto avviato due anni prima. La consultazione, però, viene dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale spagnola e, successivamente, anche dal Parlamento di Madrid. Così gli oltre 1,5 milioni di “sì” all’indipendenza hanno avuto solo un valore simbolico.

Intanto, i sentimenti indipendentisti si stavano acuendo già da diversi anni, quando la crisi economica ha colpito l’Europa, con la Spagna tra i Paesi che maggiormente ne hanno subito le conseguenze. Da quel momento, Madrid ha chiesto alla regione più ricca della Spagna uno sforzo maggiore per cercare di trainare l’economia nazionale. I catalani conoscono le potenzialità della propria regione, considerata una dei quattro motori dell’Europa insieme a Lombardia, Rodano-Alpi e Baden-Württemberg e che da sola rappresenta il 19% del Pil nazionale. Una ricchezza, questa, che la popolazione condivide malvolentieri con il resto della Spagna. D’altra parte, la regione orientale vanta, secondo dati riportati da Il Sole 24Ore, 609mila imprese attive, sorge al confine con la Francia e si affaccia sul Mediterraneo, peculiarità geografica che le garantisce una maggiore apertura verso l’estero rispetto al resto del Paese. Gli indipendentisti catalani vogliono iniziare a gestire in completa autonomia queste ricchezze, le entrate fiscali che ne derivano e investire in nuove infrastrutture che darebbero un’ulteriore spinta e apertura della regione al mercato europeo e internazionale. Il governo spagnolo non se lo può permettere né economicamente, né politicamente: un’indipendenza catalana potrebbe risvegliare sentimenti simili in altre regioni, Paesi Baschi su tutti.

Twitter: @GianniRosini

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