All’epoca Silvio Berlusconi e Guido Bertolaso parlavano di “miracolo”. Il sindaco che sta per lasciare dopo dieci anni Massimo Cialente, invece, pure. Era il 29 settembre del 2009, il giorno del 73esimo compleanno dell’allora Cavaliere e si inauguravano i primi 400 appartamenti del progetto C.A.S.E. – così, con i puntini – tassello iniziale della fantomatica new town (all’inizio se ne parlava al singolare) che avrebbe dovuto rimpiazzare L’Aquila, distrutta dal terremoto del 6 aprile. Davanti ai nastri da tagliare, erano tutti entusiasti. Otto anni dopo, a dispetto del luogo comune che rimbalza qua e là, quel progetto avveniristico si rivela un fallimento. Gli appartamenti cadono a pezzi. Interi condomini vengono evacuati d’urgenza di fronte al rischio di crolli. Si prospetta, addirittura, l’esigenza di abbattere alcuni dei quei 19 quartieri costruiti in tutta fretta nell’emergenza post-sisma. In tutta fretta e con soldi pubblici, ovviamente: oltre un miliardo di euro. E inevitabilmente si riaccendono le polemiche, con Cialente e Bertolaso che si rinfacciano a vicenda le responsabilità del disastro nelle interviste rilasciate al quotidiano Il Centro, che ha riportato in auge la questione. Tanto più che L’Aquila vive la fase culminante della campagna elettorale per le amministrative dell’11 giugno: e nulla, come il progetto C.A.S.E., si presta bene per accuse incrociate e revisionismi.

Ma non è solo questione di propaganda, se proprio alla vigilia del voto si torna a parlare di quelle in città vengono spesso chiamate “le casette di Berlusconi”. I problemi, per chi in quelle casette ci vive, sono assai concreti. Lo sono, ad esempio, per le 70 famiglie che mercoledì mattina hanno appreso che presto potrebbero essere sgomberate. Sono solo gli ultimi episodi di una sequela ormai lunghissima di incidenti nelle new town berlusconiane. Dai balconi che crollano agli intonaci che si staccano, dalle caldaie non coibentate e perennemente in tilt agli isolatori sismici che si scoprono non omologati. L’assessore all’Assistenza alla popolazione, Fabio Pelini, tira le somme: “Gli alloggi inagibili, per vari motivi, sono oltre 500 su un totale di 4500”.

“Stiamo cercando di capire cosa ne sarà di noi, per il momento ci hanno solo detto che le nostre abitazioni non sono sicure”, si sfoga Anna. Il rischio che corrono, ora, è quello di dover abbandonare i loro alloggi, installati su piattaforme antisismiche in stato di grave deterioramento. Proprio come hanno dovuto fare, la settimana scorsa, i residenti della Piastra 1 di Coppito 2. Si tratta di 24 famiglie, costrette a sgomberare le loro abitazioni il 31 maggio. “Tutto è successo senza alcun preavviso – racconta Debora – I vigili del fuoco ci hanno lasciato appena 5 minuti per recuperare qualche oggetto, poi ci hanno trasferiti”. Per circa una settimana sono stati ospitati all’Hotel Amiternum, in attesa di una nuova destinazione. E nel frattempo la rabbia è montata. “Da mesi – racconta Roberto – facevamo segnalazioni: nei locali sotterranei pioveva vistosamente”. Risposte? “Nessuna”. Poi, però, l’intervento d’urgenza. Il problema, spiega ora Cialente a Ilfattoquotidiano.it, stava in una guaina impermeabilizzante tagliata male. “Era stata montata al contrario e dunque non bloccava le infiltrazioni di acqua”. Risultato: travi e pannelli bagnati e rischio di crolli. “La responsabilità era evidentemente della ditta subappaltatrice: e a quel punto – prosegue il sindaco – abbiamo disposto i controlli sulle altre 11 piastre installate dalla Cosbau”. E così si è scoperto che altre 3 piattaforme – la numero 2 di Coppito 2, le numero 13 e 14 di Pagliare di Sassa – presentavano problemi analoghi. “Non è detto che in questi casi sia necessario procedere allo sgombero”, afferma Cialente. Ma dal suo staff lo pronosticano come “fortemente probabile, almeno per 2 delle 3 piastre”.

Una situazione difficile da gestire e che col passare del tempo sembra destinata a peggiorare. Secondo Guido Bertolaso, la colpa è di Cialente e della sua giunta, colpevoli di non avere effettuato i lavori di manutenzione necessari dal 2010 in poi. Il sindaco non ci sta e parla di oltre “30 milioni di euro spesi in interventi di manutenzione”. Il problema, secondo Cialente, è di ben altra natura. “Ha a che fare con la progettazione e la realizzazione di quelle strutture. L’esempio delle piastre evacuate in questi giorni è emblematico: lì ci sono delle guaine installate male da chi ha eseguito i lavori nel 2009. Cosa c’entra la manutenzione?”. Certo, le new town nascevano per durare negli anni, proprio in contrapposizione coi container dell’Umbria e del Belice. “Assurdo pensare che opere pensate con queste finalità cadano a pezzi dopo pochi anni” ragiona Cialente. Eppure, nell’autunno 2012, quando il Comune ha acquisito i “C.A.S.E.”, non ha effettuato verifiche sulla stabilità delle strutture. “Io mi sono fidato dei collaudi, che erano in regola. Cos’altro potevo fare?”.

Quando sarà terminata la carambola delle accuse reciproche, bisognerà poi anche capire cosa farne, di questo ingombrante e decrepito patrimonio. Cialente una proposta ce l’ha: “Smantellare le piastre. Tutte”. Una proposta che ha infiammato la settimana finale di campagna elettorale. Coi candidati del Pd e del centrodestra divisi sulle attribuzioni delle colpe, ma concordi di fatto nello smentire Cialente e nel prospettare “solo abbattimenti selettivi”. E coi comitati civici a sostegno dell’outsider Carla Cimoroni che denunciano “il vergognoso scaricabarile” tra le due opposte coalizioni, entrambe responsabili di quello che nel 2009 fu “un patto concordato tra le parti” che “ignorò puntualmente tutte le proposte alternative”. Cialente comunque insiste: risistemare tutti gli alloggi danneggiati avrebbe costi enormi, secondo il sindaco, e soprattutto “grava il parere dell’Unione europea, che ha finanziato il progetto C.A.S.E. solo a patto che si trattasse di alloggi temporanei, come previsto dal Fondo di solidarietà”. Ma se gli si chiede quale sarebbe, il limite della “temporaneità”, Cialente sorride sarcastico: “È quello che ho chiesto anche io a Bruxelles. Senza ricevere risposta. Ma resta il fatto che a breve bisognerà pensare di abbattere molte di quelle strutture”. Di un progetto mastodontico, finanziato per 700 milioni dallo Stato italiano e per circa 350 dall’Ue, resterebbero soltanto macerie? “Che fosse temporaneo, lo si sapeva fin dall’inizio. Semmai l’errore è stato rinunciare, nel 2009, a soluzioni meno onerose”. Peccato non averci pensato all’epoca, quando si tagliavano i nastri e si gridava al miracolo.

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