di Gennaro Santoro, avvocato dell’associazione Antigone dei tre volontari francesi denunciati per aver violato l’ordinanza voluta dal sindaco Pd di Ventimiglia che vietava di dare cibo e altri generi di conforto ai migranti

Ventimiglia è una lingua di terra che si allunga verso la Francia dove gli insediamenti informali di profughi, lungo il fiume Roia, creano inevitabilmente tensioni.

Un luogo surreale dove è alto il numero di transitanti travolti dai treni o dai tir, o che cercano di togliersi la vita dopo l’ennesima riammissione dalla Francia, o l’ennesimo trasferimento verso hotspot e centri di identificazione, lontani anche più di 1000 km.

Ventimiglia è un ulteriore incubo nella diaspora dei richiedenti asilo; l’ennesimo girone infernale, per loro, che hanno già le cicatrici indosso degli inferni libici, e che hanno già conosciuto altri Caronte attraversando il Mediterraneo.

La manifestazione “per la solidarietà, contro l’intolleranza” del 30 aprile si svolge ordinata, senza tensioni; ma la distanza tra una città militarizzata e privata dalla sua pace sociale, e chi, come noi in marcia, cerca di riconnettere le parole dignità e solidarietà alla parola sicurezza, è percepibile ad ogni angolo. Come nebbia spessa in costa azzurra.

Cammino tra il blu dei blindati e i pastelli di questo splendido borgo in compagnia di un mio assistito francese di 65 anni che lo scorso 20 marzo è stato iscritto nel registro degli indagati della procura di Imperia. Per aver dato da mangiare agli affamati.

Mi racconta che da Saorge, il villaggio dove vive, Ventimiglia è il centro più grande dove fare acquisti e che non hanno esitato, insieme ad altri rappresentanti della Roya Citoyenne, a condividere parte della loro spesa con chi ne aveva più bisogno; e che lo hanno già rifatto dopo il 20 marzo, e lo rifaranno ancora. Perché la solidarietà non ha misure o confini, geografici o temporali; o ordinanze sindacali, che possano limitare il soccorso, in terra ferma come in alto mare; perché la solidarietà, le nostre (sudate) carte costituzionali ce la impongono come preregola del vivere democratico; come dovere inderogabile.

Gerard Bonnet sottoscrive la procura. Ci guardiamo negli occhi. Lo rassicuro dicendo che al processo non ci arriveremo mai e, che come associazione Antigone, ci faremo in ogni caso carico di ogni spesa. L’archiviazione è atto dovuto. I poliziotti hanno sbagliato a denunciarlo il 20 marzo scorso, perché l’ordinanza del sindaco, l’atto presupposto della contestazione penale che gli è stata mossa (disobbedienza ad una ordinanza), non era in vigore. Anche se i media, ed un po’ tutti, non se ne sono accorti, la famigerata ordinanza dell’11 agosto scorso aveva come termine finale il 30 settembre 2016; ed è stata indecorosamente ripubblicata il 28 marzo 2017, per poi essere nuovamente revocata.

Il 20 marzo non era dunque in vigore alcun assurdo divieto di fare opera di misericordia o di solidarietà. Ma questa è un’altra storia (dell’assurdo); Gerard e io sappiamo di avere ragione nel merito; che anche dovessimo affrontare un processo, abbiamo la Bastiglia e altre resistenze, dalla nostra parte. Ed il mare in burrasca ci ridarà la quiete. Che noi, per dirla tutta, siamo per il Pane (la solidarietà), ma, siam pure per le Rose: la libertà di movimento e di godimento.

Il male di Ventimiglia non è la beffa della denuncia per aver fatto un atto di misericordia o un atto costituzionalmente dovuto. Il male assoluto non è il sindaco o la cittadinanza esasperata; né, tanto meno, i francesi e gli italiani che spacciano la solidarietà. Ventimiglia è il plastico fallimento del sanguinoso accordo di Dublino, di politiche europee che hanno abbandonato Ventimiglia, come Lampedusa (o Lesbo), costringendo piccole realtà locali, ong o singoli, a farsi carico delle distorsioni di una società tanto opulenta quanto terminale.

Distrutto il villaggio di migranti situato a Ventimiglia al confine con la Francia

Costringono eritrei, somali, sudanesi e altri disperati che fuggono da torture e miserie innominabili a evitare di entrare in contatto con l’accoglienza locale prestata da Croce rossa, Caritas ed altre realtà per tentare in tutti i modi di essere registrati, schedati ed identificati in altri stati; o, sic et sempliciter, per evitare l’ennesimo girone infernale verso l’hotspot di Taranto.

Il teatro dell’assurdo ha dunque un unico burattinaio (l’Europa); ma anche tanti esecutori materiali.

Le autorità francesi non intendono e non si fanno carico dei profughi, in nome di Dublino; finanche quando inciampano su minorenni, sic et simpliciter chiedono all’Italia di riammettere nella sua lingua di terra (Ventimiglia) il reietto.

Il ministero dell’Interno italiano sperpera denaro pubblico spedendo migliaia di transitanti (5000 da maggio a dicembre 2016) nel lontanissimo (1200 km di distanza) hotspot di Taranto. O, peggio ancora, spedendo sudanesi ed altri richiedenti protezione internazionale, nei paesi dai quali sono fuggitii.

In forza di sanguinari accordi di riammissione stilati dal governo italiano con le peggiori tirannie del nostro secolo, dal Sudan alla Turchia, dal Niger all’Egitto e alla Libia.

E’ avvenuto lo scorso 24 agosto. E non sappiamo, non ci è dato sapere, se i circa 40 sudanesi spediti in dono ad Omar Al Bashir, provenienti dal Darfur e intercettati a Ventimiglia, sono già morti, sono in attesa di morire; o cosa altro gli sia capitato. E’ stato presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’Uomo per 5 di loro. Ma negli ultimi tempi, anche a Strasburgo, non soffia più il vento dei diritti.

Dobbiamo ripartire dalla solidarietà, o dalla sicurezza del diritto alla vita e alla dignità della persona, quali imperativi categorici, nel Mediterraneo e in tutti i luoghi di confine. Su questioni di esistenza, è stato detto, non ci faremo mai mettere in minoranza.

Vorremmo sperare ancora di più: oltre il pane, le rose.

Spingere il nostro cuore, oltre l’ostacolo, oltre il confine.

O, almeno, accontentarci di appagare il nostro bisogno di solidarietà (dar da mangiare agli affamati) senza incappare in indecorosi precetti amministrativi o dispendiosi procedimenti penali.

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