Il taglio sarà contenuto, in termini assoluti. Ma, fa notare il sindacato dei pensionati Spi Cgil, per le pensioni più basse “qualche euro in più o in meno al mese fa la differenza”. Il problema è che da febbraio tutti i titolari di un assegno previdenziale fino ai 1.450 euro lordi (gli altri come è noto erano stati congelati dalla riforma Fornero, poi in parte bocciata dalla Consulta) dovranno restituire allo Stato una parte della rivalutazione risalente al 2015. Questo perché l’adeguamento all’inflazione riconosciuto ai pensionati è stato, in quell’anno, dello 0,3%, mentre a consuntivo è risultato che i prezzi erano aumentati solo dello 0,2%.

C’è dunque uno scarto dello 0,1% che ora i beneficiari saranno chiamati a rendere, come successo nel 2015 quando si sono visti decurtare quanto incassato in più nel 2014. L’anno scorso il governo li aveva “graziati”, ma solo temporaneamente, inserendo nella legge di Stabilità un emendamento che rinviava di un anno il conguaglio negativo.

“Tutte le pensioni avranno una perdita di valore”, scrive in una nota lo Spi Cgil. “Nel caso di una pensione al minimo la perdita sarà di 6,50 euro all’anno e di 13 euro per una da 1.000 euro. Cifre che possono sembrare di poco conto ma che incidono in particolare sulle pensioni basse, per le quali qualche euro in più o in meno al mese fa la differenza”. Lo scorso anno il governo, continua il comunicato, “intervenne rimandando questa restituzione a quando l’economia fosse effettivamente in ripresa neutralizzandone così gli effetti negativi. Anche quest’anno il governo si era reso disponibile ad intraprendere la stessa strada ma per ora non lo ha fatto”. Lo Spi-Cgil chiede quindi al ministro del Lavoro Giuliano Poletti “di intervenire urgentemente per evitare che si penalizzino ancora una volta milioni di pensionati italiani”.

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