Siamo assediati dalle raccomandazioni di pediatri ed educatori che ci ricordano l’importanza per i bambini del movimento e dello sport, specie all’aria aperta. Lo stesso dicasi per qualsiasi rivista o quotidiano: non passa giorno che non si sottolinei come fondamentale, pena l’obesità e la malattia, la possibilità per i bambini di uscire e sgambettare, possibilmente una o due ore, possibilmente tutti i giorni. Ora, cosa deve fare il povero genitore di fronte a tanta verità? Il fatto è che “uscire all’aria aperta” è particolarmente complicato in metropoli affollate di macchine e povere di parchi decorosi, sottratti al degrado e attrezzati decentemente. Senza contare che d’inverno i bambini escono alle quattro, quando è già buio.

Non resta che lo sport. E niente è più facile oggi che accedere a un corso di calcetto, nuoto, ginnastica artistica o altro. Di corsi ce ne sono a decine e decine, spesso organizzati dalle stesse scuole o da associazioni di ogni tipo. C’è solo un problema: il costo. Iscrivere un bambino a un corso, ad esempio di nuoto, significa dover spendere una notevole quantità di denaro: anzitutto, prima di cominciare, bisogna fare il certificato medico, e anzi ancora prima un elettrocardiogramma generico, per il quale si può spendere anche 50 euro se lo si fa dal privato perché il pubblico te lo dà dopo mesi (e 20 o 30 per il certificato rilasciato dal pediatra, solo pochi illuminati non si fanno pagare). Poi c’è l’iscrizione, dalle 30 (quasi mai) alle 50 o 60 euro, poi la retta, che può arrivare tranquillamente a 700 euro l’anno. E le alternative economiche non ci sono, perché le scuole che organizzano corsi lo fanno sempre a costi elevati, magari un po’ di meno del privato-privato, ma non certo come in Francia, ad esempio, dove si pagano poche decine di euro per vedere il proprio figlio giocare a basket o pallavolo tutto l’anno. Il problema, poi, è che se dovessimo seguire le raccomandazioni dei pediatri i bambini dovrebbero fare almeno due sport complementari (molti lo fanno, chi può permetterselo, specie i figli unici),il che significa arrivare a spendere mille e passa euro per un solo bambino. Immaginate le famiglie che hanno due o tre figli.

Lo Stato, che dovrebbe essere preoccupatissimo della salute dei bambini e dell’obesità infantile, se non altro per un fatto di costi, fa qualcosa? Nulla di nulla. I comuni e le istituzioni locali sono del tutto indifferenti, sovvenzioni statali per lo sport, specie per le famiglie povere, non esistono. Si può scaricare dalle tasse l’importo della retta, ma solo a partire dai cinque anni (mentre si sa che oggi nuoto, ad esempio, si inizia ben prima). Una magra mancetta di fronte a un problema enorme. Quello che tutti i genitori si trovano a settembre, quando provano l’immensa frustrazione di non poter far fare al proprio figlio tanto sport come sarebbe bello e sano (e no, non fate l’esaltazione della noia e dei pomeriggi vuoti, stiamo parlando di bambini che stanno sempre fermi, sulla sedia o sul divano, mangiano male e guardano una quantità enorme di tv: anche perché, appunto, il famoso parchetto delizioso sotto casa non esiste). Quindi devono scegliere con molta parsimonia, qualche volta indebitandosi, comunque facendo sacrifici enormi pur di permettere al bambino il tanto salutare movimento. Forse sarebbe auspicabile che Beatrice Lorenzin facesse qualche campagna, magari azzeccata, su questo tema. Ma non la solita solfa che invita le famiglie a iscrivere i figli alle attività sportive. Questo lo sappiamo già da noi. No, una campagna per sensibilizzare gli altri, cioè le istituzioni, nazionali e locali, a una questione che sembra secondaria e invece è di cruciale importanza, nonostante, purtroppo, nessuno ne parli.

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