Rapiti e “attaccati” all’alba da uomini armati “a bordo di due auto” nei pressi dell’aeroporto in cui lavoravano. Due italiani e un canadese sono stati presi in ostaggio nella città di Ghat, nella Libia sud-occidentale, vicino al confine con l’Algeria, in un’area che si trova sotto il controllo del governo di unità nazionale di Tripoli e che è ritenuta dagli apparati di sicurezza “non ad alto rischio”. Si tratta di Bruno Cacace, 56enne residente a Borgo San Dalmazzo (Cuneo), e Danilo Calonego, 66enne della provincia di Belluno, entrambi dipendenti di una società di Mondovì (Cn), la Con.I.Cons, che si occupa della manutenzione dell’aeroporto. Jamal Suleiman, uno dei componenti del consiglio municipale di Ghat, al sito arabo Masrawy.com ha fornito alcuni dettagli sulla dinamica del sequestro. Particolari riferiti dall’autista che accompagnava i tre lavoratori, che “è stato trovato con le mani legate in una zona desertica” e ha dichiarato che “il commando ha aperto il fuoco contro di loro e poi li ha presi”. Al momento il rapimento non è stato rivendicato da nessuno.

La conferma sul sequestro dei connazionali arriva direttamente dalla Farnesina, dopo che la notizia era inizialmente circolata sul sito d’informazione Libya Herald e sull’agenzia di stampa turca Anatolia. Martedì si riunirà l’ufficio di presidenza del Copasir, che potrebbe decidere di convocare presto in audizione il direttore dell’Aise, Alberto Manenti e la procura di Roma, come per altri episodi analoghi, indaga per sequestro di persona con finalità di terrorismo.

Il sindaco di Ghat, Qawmani Muhammad Saleh, ha riferito che i due italiani stavano lavorando al rifacimento alla pista dell’aeroporto locale. “Stiamo facendo il massimo per conoscere il gruppo dei sequestratori e il luogo dove sono tenuti gli ostaggi“, ha dichiarato. Una fonte anonima della sicurezza libica, parlando ad Aki-Adnkronos International, ha spiegato che “questi rapimenti sono diffusi tra bande originarie del Mali e del Niger” attive nella zona tra Ghat e Ubari e che il gruppo dei rapitori potrebbe dunque dirigersi “verso la città di Ubari o verso il deserto“. “Di solito dopo qualche tempo chiedono soldi come riscatto”, aggiunge la fonte concludendo che “le forze di sicurezza hanno registrato recentemente dei movimenti di gruppi armati che si nascondono sul monte Acacus (a sud di Ghat, ndr)”.

“Da un primo esame – rilevano all’Adnkronos fonti qualificate – si può escludere che si sia trattato di un’azione specificamente anti-italiana” e per quanto riguarda la matrice dell’accaduto, “non ci sono al momento elementi che possono far ricondurre il rapimento all’Isis o al-Qaeda. E’ una zona di traffici, di armi e di esseri umani, nessuna pista può essere esclusa e per il momento non c’è una chiave di lettura univoca“. E anche secondo i portali Libya Observer e Alwasat “i tre non sarebbero stati sequestrati da gruppi che hanno legami con al Qaida ma da un piccolo gruppo di criminali comuni“.

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che è a New York per l’Assemblea generale dell’Onu, a quanto si apprende da fonti di Palazzo Chigi, è in continuo contatto in queste ore con il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni e l’autorità delegata ai servizi, il sottosegretario Marco Minniti.

Presenze italiane in Libia – Farnesina e servizi hanno il quadro puntuale delle presenze italiane in Libia, al di là dei militari impegnati nella missione Ippocrate per l’allestimento dell’ospedale da campo di Misurata e dei corpi speciali. Dopo il tragico esito del sequestro dei quattro lavoratori della Bonatti (due dei quali rimasti uccisi in circostanze ancora non chiarite a Sabratha), c’è stata un’ulteriore ‘stretta’ per evitare che civili italiani si trovino in un Paese dove infuriano ancora gli scontri tra milizie rivali e dove c’è la minaccia dell’Isis. Le aziende che lavorano in Libia (dall’Eni, alla stessa Bonatti alla Conicos) sono state quindi invitate a servirsi di personale locale per evitare rischi. L’area di Ghat nel sud-ovest del Paese, è tuttavia considerata tra quelle non in prima linea. E’ abitata da tribù tuareg alleate del governo di Tripoli sostenuto dalla Onu. Tra tribù rivali non sono comunque mancati gli scontri. E gli occidentali possono sempre diventare un obiettivo di rivendicazioni economiche e non solo.

Chi è la Con.I.Cos – Opera da decenni in Libia, con numerose commesse di ingegneria civile, la Con.I.Cos (Contratti Internazionali Costruzioni) di Mondovì (Cuneo), è guidata da Giorgio Vinai, che l’ha fondata nel 1977 con Celeste Bongiovanni. Due le sedi centrali: quella di Mondovì, appunto, e quella di Tripoli, dove opera la Libyan Branch. La sede libica viene aperta poco dopo, spiega il sito Internet del gruppo, “con un’organizzazione stabile e permanente nel Paese, dove ha mantenuto un’attività intensa e ininterrotta dalla sua nascita”.

In Italia la società si è evoluta fino ad arrivare, nel 2005 a concentrarsi su palazzi di lusso, hotel storici, centri commerciali e grandi complessi residenziali, mentre in Libia ha continuato a mantenere la sua identità operativa attraverso la sede di Tripoli e diversi uffici satellite con sede a Derna, Bengasi e Ghat, dove la società ha contribuito alla costruzione dell’aeroporto. Da sempre, Con.I.Cos è attiva nel paese nordafricano nella costruzione di strade, aeroporti, ospedali, ponti, progetti nell’agricoltura, reti idriche sia nelle zone costali che in quelle interne e desertiche. Fra i progetti ricordati sul sito ci sono quelli di Tobruk, Derna, El Beida e Bengasi, fra gli altri.

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