C’è qualcosa di squallido, folle e autolesionista nella gestione del caso Paola Muraro da parte della sindaca di Roma Virginia Raggi. L’assessore all’ambiente della giunta M5s di Roma sapeva di essere sotto inchiesta per violazione della legge sui reati ambientali da fine luglio. Il 18 di quel mese, tramite il suo avvocato, aveva presentato una richiesta di accesso al registro segreto degli indagati. Dopo pochi giorni era arrivata dalla cancelleria penale una risposta positiva. Un documento che contiene esclusivamente l’indicazione del numero di procedimento penale, l’indicazione del reato ipotizzato e la data di iscrizione. In questo caso la carta chiariva, direttamente o indirettamente, due fatti. Il primo: l’inchiesta sull’assessore Muraro era partita ad aprile, quando ancora l’esperta di rifiuti nemmeno immaginava che sarebbe stata chiamata a far parte di una giunta comunale. Il secondo: dopo sei mesi dall’iscrizione i magistrati (quindi a ottobre) avrebbero deciso se notificare a Paola Muraro una richiesta di proroga delle indagini o se archiviare.

La sindaca Raggi, stando a quanto ha dichiarato lei stessa, viene subito portata a conoscenza dell’esistenza dell’indagine. Ma decide, assieme all’allora capo di gabinetto Carla Raineri, di non rendere pubblica la cosa. Verosimilmente in accordo con la parte del movimento che Raggi dice di aver informato.

A questo punto, secondo noi, la domanda che gli elettori devono farsi è semplice: questo comportamento è corretto o no? Le decisioni prese sono coerenti o meno con i principi di trasparenza alla base del movimento? Ciascuno può rispondere come vuole. Noi pensiamo di no. Siamo anzi di fronte a una scelta profondamente sbagliata sia dal punto di vista etico che da quello politico.

In quei giorni tutti i media parlavano della questione rifiuti e delle indagini in corso. Più volte al sindaco e all’assessore era stato chiesto se ci fosse o se, secondo loro fosse in vista, un avviso di garanzia. La risposta è sempre stata negativa.

Un’affermazione solo formalmente corretta. Perché dal punto di vista sostanziale e politico non vi è differenza tra il documento ufficiale della procura dato in mano alla Muraro e l’avviso. Sostenerlo significa solo fare i furbi. Arrampicarsi tra gli articoli del codice penale per non affrontare in maniera trasparente una questione scomoda.

Certo, può benissimo accadere che Paola Muraro esca dall’indagine a testa alta. Ma qui in discussione è la lealtà del rapporto con i cittadini e gli elettori. Dire pubblicamente: sappiamo che sono in corso degli accertamenti da parte della magistratura, ma gli elementi che abbiamo in mano sono troppo pochi per prendere una decisione sulle sorti della Muraro, non sarebbe stato un segno di debolezza, ma di forza.

Anche perché decidere di mantenere al suo posto l’assessore mentre era impegnata nel tentativo di sanare l’emergenza rifiuti di agosto aveva senso. Appellarsi invece alla differenza (minima) tra i due documenti è cosa decisamente poco onorevole. E assai poco furba.

La notizia, come era scontato, è diventata pubblica. La credibilità di Virginia Raggi ne risulta (irrimediabilmente?) scossa. La fiducia che molti italiani avevano fin qui riposto nel movimento fortissimamente minata.

La sindaca Raggi oltretutto è un avvocato. E anche se si occupava di materie civili sapeva certamente che trascorsi i sei mesi dall’iscrizione la probabilità che fosse notificato al suo assessore la richiesta di proroga era altissima. Come pensava di uscire da questa situazione? Ricordiamo che in casi analoghi, a partire da quello di Livorno riguardante il sindaco Filippo Nogarin (a cui sono contestati reati ben più gravi rispetto a quelli della Muraro), il diretto interessato aveva immediatamente informato militanti e opinione pubblica di essere indagato. Durante la campagna elettorale per la Capitale era invece stata proprio Virginia Raggi a criticare frontalmente il primo cittadino di Parma, Federico Pizzarotti, perché aveva tenuto nascosto ai cittadini un’inchiesta a suo carico. “Pizzarotti non è sospeso per un avviso di garanzia”, aveva spiegato, “è sospeso perché non c’è stata quella trasparenza che noi chiediamo e pretendiamo”.

Ora, per favore, la sindaca la smetta di giocare sulle parole. L’unica cosa che può fare per tentare di non passare per sempre per una furbetta è presentarsi in consiglio comunale e ammettere il suo grave errore. Chiedere scusa agli elettori romani. Garantire che una cosa del genere non si ripeterà mai più. E lo stesso devono fare gli esponenti dei 5 stelle che erano a conoscenza della vicenda. Da questa storia il loro movimento rischia di uscire distrutto. Ci vorranno mesi per recuperare la fiducia dei cittadini. E non è detto che l’impresa riesca. Sostenere che gli altri sono peggio, denunciare l’operato delle lobby, invocare l’inesperienza o ricordare le cose buone che sono state fatte, non serve.

Va cambiato registro subito. Ci vuole un’autocritica severa. Se non arriva meglio che la Raggi si dimetta. Eviteremo tutti una lunga e penosa agonia.

Ps. Lunedì sera sono stato ospite di Porta a Porta in una puntata su Roma registrata prima delle notizie sul caso Muraro-Raggi. Mi spiace davvero. Queste considerazioni le avrei volute esprimere anche lì.

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