Sono reduce da nove giorni a Cuba, per una conferenza della Società cubana di diritto internazionale e alcuni incontri per imbastire rapporti di cooperazione scientifica con questa società e il Centro di ricerche di politica internazionale (CIPI), think tank di studi sui problemi globali e sulle aree regionali. Un viaggio molto proficuo dal punto di vista degli scambi scientifici, sono rimasto molto colpito dalla similarità di problematiche e di impostazioni anche su temi quali le migrazioni internazionali, mentre per quanto mi riguarda era già acquisito un punto di vista comune su questioni come i diritti umani, a partire da quelli di fondamentale importanza sul terreno sociale, economico e culturale ma anche della partecipazione politica, da noi fortemente trascurati da settori non indifferenti della dottrina  e dai peggiori opinion-makers, anche perché obiettivamente si prestano meno a sostenere le pretese occidentali all’ingerenza e alla destabilizzazione dei Paesi che tentano, fra mille difficoltà, vie diverse da quelle canonizzate dai nostrani sacerdoti dell’ideologia liberista, a confronto dei quali non dico Papa Francesco, ma anche la maggioranza dei cardinali ed alti prelati sembrano campioni di laicismo e tolleranza.

A distanza di circa due anni e mezzo dalla mia ultima visita nell’isola della sovranità non posso dire di aver trovato chissà quale mirabolante cambiamento. Certamente, una maggiore immagine di prosperità economica, veicolata da fenomeni come la crescita di bar, ristoranti e spazi culturali, come pure da quella del cuentapropismo, iniziativa autonoma in campo economica intrapresa da singoli individui e cooperative che, come mi ha confermato un vecchio amico avvocato membro dell’Unione dei giuristi cubani, si sta diffondendo in vari settori. Una scommessa, questa della libera iniziativa economica su piccola scala, che Cuba sta tentando da tempo, forse con maggiore determinazione negli ultimi tempi, a passi piccoli e cauti ma senza tornare indietro.

Indubbiamente lo sviluppo dell’iniziativa economica privata, sia pure sotto il controllo e la direzione dei poteri pubblici, come è giusto che sia e dovrebbe essere anche in Italia (vedi il vilipeso e disapplicato art. 41 della nostra Costituzione) potrà portare a qualche accentuazione delle disparità di reddito, che peraltro non sono una novità a Cuba specie per effetto del turismo e del doppio regime monetario ad esso connesso. Fanno da contrappeso i servizi pubblici universali e l’accesso ai beni essenziali (abitazione, acqua, educazione, salute, alimentazione, trasporto) a proposito dei quali una ricerca in corso diretta dal mio amico Francesco Schettino della Seconda Università di Napoli in cooperazione con il Centro di studio sull’economia cubana, sta constatando un miglioramento distributivo negli ultimi tempi. Ma soprattutto fa da contrappeso l’ideologia diffusa in tutti i livelli della società, non socialismo libresco e imparaticcio, ma teoria e pratica dell’indipendenza nazionale, del giusto orgoglio di essere cubani, della solidarietà e dell’onestà. Quest’ultima, come ho osservato più di una volta a proposito dei Cinque Stelle, non basta come piattaforma politica ma significa moltissimo se diventa cifra identitaria di un popolo. Non stupisce in un Paese nel quale fin dalla scuola primaria bambini e bambine sono chiamati, senza retorica ma con profonda convinzione, ad ispirarsi all’esempio di Ernesto Che Guevara e degli altri padri della rivoluzione cubana.

Di questi sentimenti diffusi fra la popolazione cubana ho avuto, durante questa mia ultima permanenza, conferme quotidiane. La cubanità si traduce in un modo di esistere che trova il giusto equilibrio fra individuo e collettività, lontano dalle terribili paranoie cui il capitalismo costringe a volte la nostra esistenza, persa in competività, diffidenza, incapacità di comunicare, alienazioni di vario genere, paura per il futuro vissuto in genere come incerto, in cambio magari di qualche bene superfluo. La criminalità è praticamente nulla e L’Avana, per non parlare del resto di Cuba, resta fra le città più tranquille del pianeta per gli uomini e per le donne, ad ogni ora del giorno e della notte, il che, specie per chi conosce un po’ l’America Latina, ha del miracoloso.

Qualche parola sui rapporti con gli Stati Uniti, lo spauracchio evocato, generalmente a torto, dagli imbecilli di ogni risma, siano essi sedicenti ultrasinistri o gli avvoltoi neoliberisti che godrebbero come maiali imbottiti di viagra a veder cedere Cuba alle sirene del capitalismo. Come acutamente osservato dall’ambasciatore d’Italia Carmine Robustelli, non si può sottovalutare l’importanza del procedere dei rapporti di collaborazione fra i due Paesi in tutta una serie di aree, fenomeno positivo e auspicabilmente definitivo. Tuttavia, come mi ha detto uno dei principali specialisti della materia, Nestor Garcia Iturbe, molti sono ancora i nodi aperti. Dal bloqueo, tuttora in gran parte in piedi, che scoraggia l’instaurazione di più ampi rapporti economici, al permanere dell’illegittima base militare di Guantanamo sul suolo cubano, al finanziamento della cosiddetta opposizione (sparuti gruppi di imprenditori politici che attingono da anni al ben fornito borsellino dello zio Sam senza peraltro combinare nulla di notevole), a quello dei giornalisti di ogni Paese pagati profumatamente per parlar male di Cuba (e qui si impone un’inchiesta per capire chi in Italia ha beneficiato di questi finanziamenti occulti violando in modo manifesto deontologia professionale e normative applicabili, magari avremmo delle sorprese ma magari invece no).

Quella degli investimenti a Cuba resta una scommessa aperta anche e soprattutto per il nostro Paese. Come mi hanno confermato i responsabili in loco dell’Ice e della cooperazione internazionale continuano ad aprirsi spazi di grande interesse per imprenditori che se la sentano di accordare fiducia a questa straordinaria esperienza politica e umana. Segnalo da questo punto di vista un sito interessante per chi voglia avere informazioni utili in merito.

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