“Qualcosa non funzionava. Le Volkswagen stavano rigurgitando emissioni nocive nei test su strada, mentre in laboratorio andava tutto bene”. Inizia così la dettagliata ricostruzione di Bloomberg a proposito della scoperta della maxi frode del gruppo Volkswagen in America, che ha portato al crollo del titolo in borsa e che potrebbe implicare una multa di 18 miliardi di dollari. Le discrepanze fra consumi misurati in laboratorio e quelli rilevati su strada sono stati scoperte quasi per caso da Peter Mock, direttore della sezione europea dell’International Council on Clean Transportation (ICCT), un’organizzazione indipendente e non profit che si occupa di trasporti e ambiente.

L’ICCT aveva condotto un test sulle versioni europee di tre automobili diesel, una Volkswagen Jetta, una VW Passat e una BMW X5; le rilevazioni su strada avevano dimostrato che i test europei per la valutazione degli inquinanti, in particolare degli ossidi di azoto NOx, non rappresentavano la situazione reale di guida su strada. Un problema noto, dovuto al fatto che i test su rullo non rispecchiano le reali condizioni d’uso: non a caso il ciclo europeo di omologazione di consumi ed emissioni cambierà nel 2017. A quel punto a Mock viene un’idea strana: visto che gli standard americani sono i più duri del mondo, perché non condurre lo stesso test con le versioni americane delle tre auto? Mock e la sua controparte americana, John German, erano certi che le auto per gli Usa avrebbero superato brillantemente le misurazioni europee sulle emissioni su strada. Così, dicono oggi i due responsabili dell’ICCT, avrebbero dimostrato che imponendo normative stringenti come quella americana, i diesel potevano essere davvero puliti. Proprio quello che la Volkswagen diceva da anni pubblicizzando i suoi “clean diesel”. Ma qui succede l’imprevedibile: Mock e German scoperchiano inconsapevolmente un vaso di Pandora.

Per i test in laboratorio, gli studiosi si rivolgono al California Air Resources Board (Carb): tutti e tre i modelli passano la verifica senza problemi. Per le misurazioni su strada, German e i suoi chiedono aiuto all’Università della West Virginia, che fornisce il sistema di misurazione portatile delle emissioni, una sorta di scatolone da fissare nel bagagliaio dell’auto. I tester guidano le auto da San Diego a Seattle, un viaggio di 1.300 miglia (oltre 2.000 km) in varie condizioni di guida. Quando riceve i risultati dei test su strada, German non può credere ai suoi occhi: nella guida reale, le emissioni di NOx della Jetta superavano i limiti di 15-35 volte, quelle della Passat di 5-20 volte. La BMW X5, invece, stava nei limiti.

A quel punto, a maggio 2014, la Carb e l’agenzia federale per la protezione dell’ambiente Epa aprono un’inchiesta sulla Volkswagen. Il dialogo fra le parte va avanti per diversi mesi, con la Volkswagen che cerva di replicare ai dati ottenuti dalla West Virginia University; l’azienda tedesca dice di aver individuato le ragioni per cui le emissioni risultavano così alte e a dicembre 2014 lancia un richiamo per aggiornare i software di circa mezzo milione di veicoli venduti in America. La Californiana Carb però non molla, continua a testare le Volkswagen anche dopo l’aggiornamento e non vede miglioramenti.

A luglio 2015 la Carb comunica le sue perplessità all’Epa, la quale ottiene che alla Volkswagen non sia concessa la certificazione per vendere gli ultimi modelli (i cosiddetti “model year 2016”) negli Stati Uniti finché non chiariscono la questione dei gas dei scarico. Volkswagen ci prova ancora, suggerendo ragioni tecniche a giustificazione della discrepanza, finché non le viene davvero negata la certificazione per vendere negli Usa. “Solo a quel punto la Volkswagen ha ammesso che aveva progettato e installato in dispositivo che grazie a un complicato algoritmo identificava quando il veicolo era sotto esame”, ha scritto l’Epa nella comunicazione ufficiale diffusa venerdì scorso, e limitava solo in quella particolare circostanza le emissioni di inquinanti. Il software è stato inserito in 482.000 veicoli venduti in America fra il 2009 e il 2015. “Non abbiamo idea se questo succedesse anche in Europa o in Cina”, ha detto il ricercatore German, “ma pensiamo che la domanda vada posta, soprattutto dove gli Stati non hanno le conoscenze e l’autorità legale che hanno negli Stati Uniti”.

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