Cultura

Salvatore Striano, dai vicoli violenti di Napoli al cinema: “Sono una Testa Matta, ho ripudiato la camorra”

Alla sua vita sbagliata vissuta sempre a mille, col cuore che batteva in gola e la certezza di finire faccia a terra sparato, o sbattuto a marcire per tutta la vita in una cella di Poggioreale, ha dedicato un libro scritto con il regista Guido Lombardi e edito da Chiarelettere: "Avevo 18 anni quando mi presero i carabinieri, ma mi ero perso già a 16. Adesso sogno di recitare con Robert De Niro"

di Enrico Fierro

Anni Novanta, a Napoli si spara. Proprio come oggi. Nei Quartieri Spagnoli sono in azione killer giovani. Amano le moto di grossa cilindrata, portano la calibro nove nelle mutande e vogliono scalare i vertici della camorra. Uccidono e si fanno uccidere. Proprio come oggi. Li chiamavano le “Teste matte”. Salvatore Striano, per tutti Sasà, era uno di loro. A quella vita sbagliata vissuta sempre a mille, col cuore che batteva in gola e la certezza di finire faccia a terra sparato, o sbattuto a marcire per tutta la vita in una cella di Poggioreale, ha dedicato un libro scritto con il regista Guido Lombardi. Teste matte, edito da Chiarelettere.

Sasà, eravate dei pazzi…
Totali, irrecuperabili. Quattro anni d’inferno. Avevo 18 anni quando mi presero i carabinieri, ma mi ero perso già a 16. L’aria della camorra l’ho respirata fin da bambino.

Cosa rappresentava per te, un ragazzino, la camorra?
Una forma di prepotenza, di potere. Volevo crescere, affermarmi come boss per farli smettere. Come vedi eravamo proprio dei matti, degli illusi che volevano dominare la camorra.

Dopo questa tragedia, il carcere, la galera, un universo che ti può schiacciare.
L’ultima volta fui arrestato in Spagna, chiesi al giudice di poter scontare la pena in quel Paese. Non volevo tornare in Italia perché sapevo che la camorra comanda anche nelle carceri. Mi portarono a Roma, reparto di alta sicurezza, ho fatto mesi di proteste per poter essere tirato fuori e avere una cella lontano dalle “famiglie”. Quando arrivi in carcere ti fanno leggere i nomi degli altri detenuti e tu devi decidere con chi stare in cella, con quale clan. Io volevo rompere questa logica di appartenenza.

Quando hai capito che l’arte, nel tuo caso la recitazione, poteva salvarti?
Un giorno dovevamo rappresentare Napoli milionaria di De Filippo, a me toccò la parte di Donna Amalia, la protagonista. In carcere vengono sempre strane idee a proposito di sesso, e a me dicevano che anche con la barba potevo essere una bella femmina. Protestai con il regista, Fabio Cavalli, e gli dissi che quella parte non faceva per me. Un ruolo femminile proprio no. Lui fu drastico: fai tua madre, parla e muoviti come lei, mi disse. Da quel momento, la notte in cella, lessi e rilessi l’opera di De Filippo pensando a mia madre, ai suoi dolori, alla sua fatica di vivere. Era morta, l’avevo persa mentre ero in carcere, ma rivedevo il suo volto dolente. Me lo stampai in testa e fu un successo. Il pubblico fu sconvolto dalla nostra recitazione. Carlo Cecchi salì sul palco e disse che non trovava più attori bravi perché quelli veri erano tutti in galera. Luca De Filippo mi abbracciò. Da allora capii che potevo costruirmi una possibilità, che quella vita di merda da camorrista non era la mia vita. Quando uscii dal carcere il direttore si mostrò dispiaciuto. Gli dissi che era pazzo, che io volevo la mia libertà. Lui mi rispose in un modo che mi lasciò di stucco: qui c’è qualcuno che si prende cura di te, fuori non c’è nessuno disposto a credere che Sasà Striano possa fare una vita normale.

Il direttore si sbagliava perché arrivò il cinema…
Matteo Garrone con Gomorra, i fratelli Taviani con Cesare deve morire, Guido Lombardi con Take Five, Marco Risi, Abel Ferrara. Ora Ascanio Celestini con Viva la sposa: sono alla mia quinta prima mondiale a Venezia…

E adesso Teste Matte, il libro. Perché?
Perché io ce l’ho fatta, oggi sono un personaggio positivo, un esempio e posso parlare a quei ragazzi che continuano a fare una vita di merda, a chi vive in quel mondo tumorale, malato, che puzza di morte che è la camorra. Teste Matte non è un libro di denuncia, non ha il dito puntato, ma la mano tesa per dire alle persone ‘ce la potete fare’, fuori dalla camorra c’è un mondo di fatica, di onestà, certamente duro, ma che non porta alla morte o al carcere. Nel libro racconto i Quartieri, le dinamiche che portano un giovane a cadere nella rete della camorra, il sistema di dominio dei boss sulla povera gente. La camorra è la più grande truffa umana.

Tu non hai abbandonato Napoli.
E come potrei? A questa città devo tutto. Qui puoi sprofondare negli abissi più neri, ma puoi anche rinascere.

Il libro è scritto con Guido Lombardi…
Un genio della scrittura, un perfezionista. Veniamo da due mondi diversi, io dal crimine, lui da una famiglia di magistrati. Solo a Napoli può succedere. Io dico sempre che la camorra ha le porte sempre aperte, non c’è bisogno di bussare per entrare. Lo Stato le sue porte le sbarra, se sei povero hai voglia di bussare, non ti apre nessuno.

Il tuo sogno?
Sono due, aprire una scuola di recitazione e recitare con un grande del cinema.

Chi?
Robert De Niro.

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