Sarebbe un errore se, come appare possibile – o addirittura probabile – il prossimo 9 luglio il Parlamento europeo trasformasse la “libertà di panorama” che, l’europarlamentare tedesca Julia Reda, segretaria del Partito Pirata ha proposto di introdurre nell’Ordinamento europeo nel suo esatto opposto, ovvero in un divieto, sostanzialmente assoluto, di panorama cioè di scattare e pubblicare una foto di un qualsiasi monumento o palazzo di una qualsiasi delle città dell’Unione senza chiedere prima il permesso al Comune o all’amministrazione che lo ha in gestione.

Prima di spiegare perché val la pena di ricordare che oggi, a proposito della c.d. “libertà di panorama”, l’Europa è divisa tra Paesi che la escludono del tutto, Paesi in cui è fortemente limitata – e l’Italia è tra questi – e Paesi nei quali, invece, è una solida realtà.

Nessuna sorpresa, dunque, che in seno alla Commissione parlamentare che si sta occupando della riforma del diritto d’autore europeo vi siano posizioni diverse e contrapposte e che trovare – come pure sembra indispensabile fare – una posizione comune, utile ad eliminare una tanto evidente disomogeneità normativa non sia affatto facile.

Ma stabilire – come una nutrita pattuglia di Parlamentari propone ora di fare – che prima di utilizzare la foto di una qualsiasi opera – palazzi inclusi – esposta in pubblico, scattata da chicchessia e quale che ne sia la qualità per un uso, in senso lato, commerciale sia necessario chiedere il permesso all’architetto o a chi ha in gestione l’opera medesima sembra davvero una decisione contro la storia e contro il comune buon senso.

Siamo – e l’Europa con la sua/nostra agenda digitale europea non perde occasione di ricordarcelo – nel pieno della società dell’informazione, nell’era della condivisione dei contenuti culturali ed informativi in tempo reale, in un’epoca nella quale gli smartphone che abbiamo in tasca hanno videocamere dotate di tecnologia straordinariamente superiore a quelle delle migliori macchine fotografiche professionali disponibili sul mercato solo una manciata di anni fa.

Facebook ha oltre un miliardo e trecento milioni di utenti che condividono ogni genere di contenuto – fotografie incluse – in un contesto che si fa fatica a non definire “commerciale” e si moltiplicano ogni giorno le app che consentono di raccontare, in tempo reale ed a chiunque, anche attraverso le immagini, ciò che avviene nelle nostre città.

Se i nostri posteri conosceranno la nostra storia come noi abbiamo conosciuto quella dei nostri antenati ciò sarà possibile solo grazie alle tracce digitali che saremo capaci di lasciare a chi verrà dopo di noi attraverso la Rete e dovrebbe essere, ormai, chiaro a chiunque che non c’è futuro per la cultura europea se non saremo capaci di promuoverne ogni forma di digitalizzazione, spianando la strada a cittadini ed imprese che vogliano “esportarla” in bit e renderla accessibile al mondo intero in ogni forma e con ogni modalità.

In un contesto di questo genere il “divieto di panorama” che il 9 luglio minaccia di fare un passo in avanti, verso il nostro Ordinamento europeo è una “sciocchezza” antistorica, una norma sostanzialmente inattuabile che anziché semplificare la vita a chi vuole esportare in digitale le bellezze del vecchio continente, lo ostacola, imponendogli un’autentica gimcana in un groviglio normativo degno del peggior azzeccagarbugli manzoniano.

E’ sufficiente sfogliare le pagine di Wikilovesmonuments Italia, il più grande concorso fotografico del mondo per avvedersi di quale sia il prezzo e di quali siano gli effetti di una norma – quella presente nel nostro attuale Codice dei beni culturali e paesaggistici – pericolosamente simile a quella che, il prossimo nove luglio, l’Europa vorrebbe avvicinarsi a fare propria.

Chi promuove un concorso fotografico per far conoscere al mondo intero le bellezze del nostro patrimonio culturale, si ritrova costretto a mettersi sulle spalle l’onere di rincorrere decine di migliaia di amministrazioni per chiedere loro il permesso di pubblicare e far ripubblicare le fotografie scattate dai partecipanti, passeggiando lungo le strade delle nostre città.

E la lista dei monumenti “liberati” è un pugno in un occhio al futuro, all’innovazione ed alla nostra cultura.

Non si può dover chiedere il permesso per scattare e pubblicare una foto di un monumento all’ombra del quale si vive o si lavora e che magari si sente proprio più di quanto non lo senta proprio l’amministrazione che lo ha formalmente in gestione. E’ una strada che porta dritta a trasformare l’Europa – come, purtroppo, sta già accadendo – in una colonia culturale digitale straniera.
Rischiamo di doverci rassegnare a che altri, fuori dai nostri confini ed oltre l’oceano, raccontino il nostro Paese, le nostre bellezze, i nostri palazzi ed i nostri monumenti.

E tutto questo solo nel nome di un malinteso giuridico-culturale secondo il quale la proprietà intellettuale sarebbe una forma di proprietà come tutte le altre ed ogni opera dovrebbe semplicemente essere utilizzata per far cassa al botteghino come fosse un film hollywoodiano.

E’, probabilmente, uno dei più diffusi e pericolosi equivoci normativi con i quali ci si confronta ogni giorno nel vecchio continente.

La proprietà intellettuale serve a massimizzare la produzione e circolazione delle opere creative e non può essere piegata ad un fine che rappresenta quasi l’esatto opposto della sua ratio ispiratrice: frenare, ostacolare, rallentare la circolazione del sapere e della cultura. L’Europa, a proposito della libertà di panorama o, meglio, del “divieto di panorama” sta facendo rotta nella direzione sbagliata, navigando contro corrente, contro la storia, contro il buon senso. Bisogna virare e farlo senza esitazioni.

Il “divieto di panorama” è destinato a restare una norma che produrrà l’unico risultato di scoraggiare quanti avrebbero potuto e voluto contribuire alla diffusione delle nostre bellezze culturali e paesaggistiche in digitale. Nessuno diventerà più ricco vendendo licenze per la pubblicazione delle foto di palazzi e monumenti e tutti diventeremo più poveri in termini di cultura, sapere e informazione.

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