Gli arresti di amministratori pubblici si susseguono (ultimo arrivato il sindaco Pd di Ischia) ma la domanda è sempre la stessa: possibile che bisogna sempre affidarsi ai carabinieri per scoprire il malfatto? Ai piani alti della burocrazia (ma anche nel mezzanino) chi è addetto ai controlli si gira i pollici o si gira dall’altra parte? E anche la cosiddetta società civile non è piuttosto distratta?

A questo proposito è illuminante l’episodio raccontato a Gianluca Di Feo dal commissario Anticorruzione, Raffaele Cantone, nel suo libro-intervista Il male italiano, quando al momento della nascita dell’Autorità, una docente universitaria chiese di incontrarlo. Una persona impegnata su legalità e antimafia. “Mi disse che le sarebbe piaciuto diventare consigliere dell’Autorità, ma quando le spiegai che i termini per il bando erano chiusi la sua replica fu sorprendente: “E che problema c’è? Facciamo in modo che non siano chiusi, c’inventiamo un protocollo alla buona“.

Non la fermò neppure l’obiezione che ormai tutte le domande erano sul sito web: “Scriviamo che per un problema tecnico la mia domanda non è stata inserita”. Prima di metterla alla porta, Cantone sbotta: “Ma si rende conto che questa è l’Anticorruzione…”. Risposta: “Ho parlato con alte cariche istituzionali… hanno detto che si può…”. Questa la doppia faccia dell’Italia dove si è sempre pronti a chiedere le regole per gli altri. Quelli che sbandierano grandi principi salvo smentirli se sono in ballo i loro interessi.

Da ‘Stoccata e Fuga’, il Fatto Quotidiano, 31 marzo 2015

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