Il piano per la banda larga del governo “è uno sforzo che raramente abbiamo visto prima. Anzi è uno sforzo mai visto. A cosa porterà vedremo”. Il presidente dell’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni, Angelo Cardani, è così tornato ad esprimere il suo entusiasmo per il progetto sulle reti di nuova generazione varato dal governo il 2 marzo scorso. Dopo aver manifestato “apprezzamento per la Strategia italiana per la banda ultra larga approvata dal Consiglio dei Ministri” in una nota ad hoc del 5 febbraio scorso, Cardani è infatti tornato sul tema lunedì 9 marzo nel suo intervento alla presentazione del bilancio annuale dell’Organo di vigilanza sulla parità di accesso alla rete Telecom Italia.

“Abbiamo un ritardo colossale come Paese. Ma come per tutti i ritardi può essere colmato anche rapidamente se reagiamo costruttivamente”, ha spiegato il presidente dell’autorità indipendente nominato dal governo di Mario Monti e balzato agli onori delle cronache finanziarie due anni fa per aver varato aumenti record per i servizi postali. Il presidente dell’Agcom ha aggiunto di ritenere il passaggio graduale dal rame alla fibra un “concetto saggio” sottolineando che “lo sviluppo graduale della fibra può essere una soluzione accettabile”. Una posizione salomonica quella di Cardani che ha anche spiegato come la decisione dell’Agcom di rivedere retroattivamente i prezzi per l’affitto della rete Telecom, danneggiando di fatto l’ex monopolista, sia legata a doppio filo con le richieste del Consiglio di Stato. La questione, insomma, non ha alcuna correlazione con la volontà e le tempistiche di lavoro dell’autorità. Fatto sta che al momento l’Agcom non ha ancora definito le tariffe dell’unbundling (il prezzo che gli operatori pagano a Telecom per l’accesso alla sua rete, ndr) 2014-2017, mettendo in difficoltà l’ex monopolista, che è nel pieno del piano triennale di investimenti sulla fibra.

Scarni e scarsi insomma i contenuti dell’intervento del presidente che, secondo alcuni osservatori, dopo l’addio di Monti, sta tentando di accreditare il lavoro della sua autorità agli occhi del governo Renzi. Soprattutto ora che a Palazzo Chigi c’è aria di spending review per le autorità indipendenti il cui costo grava sui diretti controllati e indirettamente anche sui cittadini. L’Agcom, che pure è riuscita a dare un taglio alle spese nel 2013, costa ancora quasi 70 milioni finanziati dagli operatori con il massimo dell’aliquota consentita per legge. Secondo l’ultimo bilancio consuntivo disponibile (2013), impiega ben 419 persone di cui la metà funzionari e 45 dirigenti per un totale di oltre 44 milioni di euro di costo del lavoro spalmati sulla sede di Napoli (1,7 milioni di affitto per l’immobile) e su quella “secondaria” di Roma (con 3,7 milioni di canone di locazione).

La cifra relativa agli stipendi, come rileva la Corte dei Conti nella delibera di controllo sull’ente datata 16 luglio 2014, è ingente: “Se si considera la percentuale di incidenza della spesa del personale sia sulle entrate accertate che sulle spese complessive, nell’arco del quadriennio 2009-2012, non si può che sottolineare l’esigenza di avviare un compiuto controllo della spesa da parte del vertice istituzionale, così come peraltro rilevato in più occasioni dalla Commissione di garanzia”. Magari iniziando col ricostruire “il servizio di controllo interno e organizzato il controllo di gestione” come suggerisce la Corte e ridimensionando i compensi di presidente e commissari che costano in totale 1,2 milioni lordi l’anno (circa 240mila euro a testa). Sono somme importanti quelle che finiscono nelle tasche dei vertici dell’autorità che avrebbe forse potuto offrire qualche riflessione in più sul tema della fibra in un momento centrale per lo sviluppo dell’infrastruttura di rete del Paese e in cui si giocano partite rilevanti come quella fra Ei Towers e Rai Way con l’Antitrust schierata in prima linea nella richiesta di chiarimenti ai protagonisti.

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