I diplomati che si iscrivono all’università sono in diminuzione. Le difficoltà economiche delle famiglie e la mancanza di politiche per il diritto allo studio contribuiscono a confermare un dato negativo per il nostro Paese. A consegnare questa desolante fotografia è il rapporto 2014 sulla “Condizione occupazionale e formativa dei diplomati” presentato in queste ore da AlmaLaurea. Ad un anno dal diploma solo 65 diplomati su cento proseguono la propria formazione e sono iscritti ad un corso di laurea mentre il 28% sceglie di inserirsi direttamente nel mercato del lavoro. I restanti 20 su cento si dividono tra chi è alla ricerca attiva di un impiego (16%) e chi non cerca un posto (45).

La disoccupazione coinvolge 36 diplomati su cento ad un anno dalla maturità: una quota significativa che si riduce tra i liceali (31%) ma che raggiunge ben il 44,5% dei diplomati professionali. L’indagine ha riguardato 90mila diplomati del 2013, 2001 e 2009 intervistati a uno, tre e cinque anni dall’esame di maturità. Apparentemente sono numeri, ma chi fa l’insegnante conosce i volti, i nomi e i cognomi di questi ragazzi che l’università italiana non riesce ad attrarre. “Di fronte ad un Paese – spiegano i ricercatori di AlmaLaurea – che avrebbe necessità di aumentare la soglia educazionale si registra una minore attrazione dei giovani verso lo studio universitario”.

Chi entra nel mondo del lavoro abbandonando gli studi a 18 anni viene assorbito soprattutto dal privato: tre occupati su quattro ad un anno dal diploma sono inseriti in un’azienda che opera nel settore dei servizi (in particolare del commercio: 31%); 16 su cento lavorano nell’industria, in particolare nel settore metalmeccanico e in quello edile mentre è decisamente più contenuta la quota di coloro che trovano lavoro nell’agricoltura (3%).

L’attività nel settore pubblico è la meno diffusa tra i diplomati di scuola secondaria superiore: sia ad un anno che a tre anni dal diploma dichiarano di lavorarvi nove diplomati su cento. Un esercito di persone che guadagna in media 965 euro mensili netti e 1082 euro a tre anni dal conseguimento della maturità. Ad andare all’università, oggi come ai tempi di don Lorenzo Milani, sono i figli di “buona famiglia”: “Oltre al voto di diploma e la regolarità del percorso scolastico – spiega la ricerca – influenzano in modo rilevante la probabilità di proseguire gli studi anche il contesto socio economico e culturale familiare”.
Fra i diplomati 2013 di estrazione borghese, contrariamente a ciò che avviene tra i giovani di famiglia operaia, è nettamente più frequente l’iscrizione all’università (81% contro 50%). Allo stesso modo il titolo di studio dei genitori influenza le scelte formative dei giovani: l’86,5% dei diplomati provenienti da famiglie in cui almeno un genitore è laureato ha deciso di iscriversi all’università.

Tanti anche i “pentiti” ovvero quelli che scelgono un percorso universitario per poi abbandonarlo presto: a un anno dal titolo, per 18 diplomati su cento la scelta universitaria non si è dimostrata vincente. Fra coloro che dopo il diploma hanno deciso di continuare gli studi, il 7% ha deciso di abbandonare l’università fin dal primo anno, mentre un ulteriore 11% resta iscritto all’ateneo ma cambia corso. La situazione peggiora dopo tre anni dalla fine della secondaria dal momento che sale a 27 su cento la quota di diplomati insoddisfatti della propria scelta universitaria.

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