Fu il primo sterminio nazifascista in territorio italiano: 16 uomini e donne, vecchi e bambini arrestati e rinchiusi in un albergo, quindi ammazzati e buttati nel lago. Unicamente perché ebrei. Accadeva a Meina, rinomata località di villeggiatura sul lago Maggiore, nel settembre del 1943. Una “piccola” strage della quale fu vittima una piccola colonia di ebrei greci fuggiti da Salonicco e rifugiati sulle sponde del lago. Ma malauguratamente incappati nella Leibstandarte Adolf Hitler, la divisione SS vanto e gloria del führer, scesa in Italia all’indomani dell’8 settembre.

Una strage efferata. E impunita. In ossequio alla realpolitik del dopoguerra, che vedeva Stati Uniti e Germania alleati contro il comune avversario Unione Sovietica, nel processo farsa di Osnabrük i colpevoli finirono quasi tutti liberi per prescrizione dei termini

Il 15 settembre le SS arrivano all’hotel Meina, di proprietà di Alberto Behar, ebreo turco, e rinchiudono gli ospiti ebrei nelle camere del terzo piano. Dopo una settimana, il 22 settembre, un ufficiale di nome Kruger avvisa i prigionieri che saranno portati a un campo di lavoro a 200 chilometri di distanza. Ma nella notte fra il 22 e il 23 settembre il loro viaggio termina appena fuori dal paese: i tedeschi li uccidono a colpi di rivoltella e ne buttano i corpi nelle acque del lago. Il giorno dopo, visto che le correnti fanno riaffiorare i cadaveri, le SS riportano i corpi al largo e li straziano con le baionette per farli riaffondare. A quell’eccidio ne seguono altri analoghi a Baveno, Arona e Stresa per un totale di 57 vittime accertate. Una strage efferata. E impunita. In ossequio alla realpolitik del dopoguerra, che vedeva Stati Uniti e Germania alleati contro il comune avversario Unione Sovietica, nel processo farsa di Osnabrük i colpevoli finirono quasi tutti liberi per prescrizione dei termini e la sentenza liquidò gli eccidi come frutto di alcune iniziative isolate per derubare gli ebrei dei loro averi e non come un crimine di guerra.

Solo molti anni dopo, dal cosiddetto “armadio della vergogna “, l’archivio dei servizi segreti prima occultato e poi fortunosamente ritrovato in una cantina, emersero sprazzi di verità attraverso i rapporti inviati da polizia e carabinieri nel 1946 alla Procura Generale Militare di Roma che coordinava le istruttorie contro i criminali di guerra. Oggi quelle vittime innocenti sono infine degnamente ricordate con la posa a Meina delle “pietre d’inciampo” dell’artista tedesco Gunter Demnig: semplici pietre d’ottone, delle dimensioni di un sampietrino, con incisi i nomi e le date più significative degli assassinati, identiche a quelle che già pavimentano le strade di tante città europee (in Italia se ne trovano a Roma, Venezia e Genova) e che formano il più grande monumento diffuso d’Europa dedicato alle vittime del nazifascismo.

Oggi quelle vittime innocenti sono infine degnamente ricordate con la posa a Meina delle “pietre d’inciampo” dell’artista tedesco Gunter Demnig: semplici pietre d’ottone, delle dimensioni di un sampietrino, con incisi i nomi e le date

La posa delle prime tre pietre intitolate alle vittime più giovani avverrà a Meina domenica 11 gennaio alle 10, alla presenza di Rossana Ottolenghi, figlia di Becky Behar Ottolenghi, scampata alla strage insieme ai fratelli e ai genitori (proprietari dell’hotel Meina) perché di nazionalità turca (la Turchia era neutrale). Le altre saranno posate l’anno prossimo. Becky Behar, deceduta nel 2009, ha testimoniato per tutta la vita l’orrore di quella strage (di cui trascrisse ogni particolare in un diario) e delle persecuzioni nazifasciste. Per il suo impegno le è stata intitolata una scuola di Trecate (Novara) i cui alunni saranno presenti l’11 gennaio alla cerimonia. Un’altra scuola di Meina è intitolata alle tre vittime più giovani, Jean, Robert e Blanchette Diaz, di 17, 13 e 12 anni.

Alla cerimonia sarà presente anche Gunter Demnig, che ha posato le sue prime pietre d’inciampo nel 1997 a Berlino e, a tutt’oggi, ne ha posate oltre 50 Mila in Germania, Austria,, Ungheria, Ucraina, Cecoslovacchia, Polonia, Paesi Bassi, Italia

Motore dell’iniziativa è la congregazione ebraica progressiva Lev Chadash, di cui Rossana Ottolenghi, come sua madre, fa parte.”È per me una grande soddisfazione vedere finalmente ricordato dalla città che ne fu teatro un evento tragico che altre amministrazioni, in passato, hanno non solo ignorato ma anche tentato di cancellare”. Una giunta di centro destra aveva proposto di rimuovere la stele con incisi i nomi delle vittime per sostituirla con un monumento a Mike Bongiorno (il quale, fra l’altro, non avrebbe certo gradito avendo sempre professato il suo antifascismo). Alla cerimonia sarà presente anche Gunter Demnig, che ha posato le sue prime pietre d’inciampo nel 1997 a Berlino e, a tutt’oggi, ne ha posate oltre 50 Mila in Germania, Austria,, Ungheria, Ucraina, Cecoslovacchia, Polonia, Paesi Bassi, Italia, ecc. Sulla strage è stato scritto negli anni Settanta un libro, molto ben documentato, da Marco Nozza (Hotel Meina, Mondadori) e nel 2007 realizzato un film con lo stesso titolo (l’ultimo di Carlo Lizzani) contestato da Becky Behar per le licenze che si era preso il regista.

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