charlieMentre a Parigi uccidevano i giornalisti di “Charlie Hebdo”, in classe proprio in quelle ore appendevo un calendario nuovo: l’almanacco interculturale. Non mi sono accorto, non potevo saperlo, ma credo che questa sia la migliore risposta a chi in queste ore sta strumentalizzando, soprattutto in Italia, una vicenda dai toni ancora non chiari.

Nella mia aula c’è il crocefisso e ogni giorno, da quest’anno, “condivideremo” con gli islamici, i buddisti, gli ebrei, gli induisti le loro feste. Ancora una volta, di fronte ad una tragedia, abbiamo ascoltato troppe volto l’uso della parola “contro”. A questa io preferisco la preposizione semplice “con”.

Ecco perché credo che noi maestri, noi professori, non possiamo stare zitti davanti a chi come Libero titolava il giornale ‘Questo è l’Islam’ o Il Giornale”di Alessandro Sallusti che oggi sparava un “Li abbiamo in casa”.
Chi insegna ha il dovere sacrosanto di dare tutte le informazioni necessarie, gli strumenti utili per capire anche questi momenti. Sono ateo, ma la maestra della scuola primaria, mi insegnò ad essere curioso. Ho sete e fame di conoscenza. Ecco perché in casa ho la Bibbia e il Corano. Non si può parlare di Islam senza aver mai preso in mano il testo fondamentale della religione fondata da Maometto. Se vogliamo cercare di capire la mentalità araba e l’Islam, è necessario avvicinarsi a questo testo sacro. A chi oggi tenta di generalizzare, di usare l’ignoranza degli italiani o della popolazione araba a proprio uso e consumo dovremmo rispondere noi insegnanti portando in ogni classe la matita di Charlie ma anche il Corano e la Bibbia. Non possiamo fermarci al fatto che qualcuno interpreta in maniera letterale le sure del Corano. Basta prendere in mano il salmo 144 della Bibbia per leggere righe che chi è ignorante potrebbe vedere solo come un inno alla guerra. E’ questo il momento in cui il ruolo di chi insegna è essenziale!

Lo scrive un ateo che per fame e sete di conoscenza ha viaggiato in Giordania, Palestina, Libano, Siria, Tunisia, Senegal, Marocco e altri Paesi arabi. Ho raccontato ai miei ragazzi di padre Dall’Oglio e del suo lavoro in Siria; ho mostrato loro le immagini delle moschee e delle chiese cristiane che ad Aleppo convivevano; ho spiegato quanto è differente l’Islam in Marocco, in Senegal o a Nablus nel cuore della Palestina; ho portato in classe uomini e donne tunisini per spiegare la rivoluzione araba. Non ho mai nascosto la necessità di avere scuole coraniche con intellighenzie diverse, soprattutto in alcuni Paesi.

Oggi penso a Hamed: voglio che il padre di questo mio alunno possa avere un luogo di culto anche dopo ciò che è accaduto in Francia. Desidero pensare che Hamed possa prendere l’autobus senza che venga guardato come se fosse un terrorista. Amo pensare che sua madre possa portare il velo con la stessa libertà con la quale la mamma di Michael porta il perizoma e la minigonna. Voglio dire a Giorgio, a Sara, a Luca che 15 milioni di musulmani vivono in occidente senza ammazzare nessuno.

 

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