Fumata nera, per ora, al palazzo della Moncloa al termine dell’incontro tra il premier spagnolo, Mariano Rajoy, e il presidente della Catalogna, Artur Mas. Un incontro ufficiale nella sede del governo spagnolo, come undici mesi fa, sul quale ha aleggiato il referendum secessionista catalano, previsto per il 9 novembre prossimo.

Praticamente l’unico punto all’ordine del giorno, anche se Mas ne ha approfittato per consegnare un documento articolato in 23 proposte – economia, infrastrutture, istruzione ecc. – sulle quali attende risposte dallo Stato dal quale vorrebbe separarsi. Netta la posizione di Rajoy che, senza giri di parole, ha detto al suo interlocutore: siamo disposti a esaminare tutte le istanze della Catalogna, tranne una, la secessione. “Il referendum è illegale – ha ribadito il premier -, non si può celebrare e non sarà celebrato perché è anticostituzionale”. Argomento chiuso. 

Mas, da parte sua, ha ribadito che a novembre i catalani andranno alle urne per rispondere ai due quesiti referendari: “Vuole che la Catalogna sia uno Stato”; in caso affermativo: “Vuole che sia uno Stato indipendente?”. Nonostante la fermezza confermata da Rajoy su questo punto, Mas ha giudicato positivamente l’esito dell’incontro, perché avrebbe ottenuto la disponibilità del governo a esaminare il suo voluminoso dossier. Alla fine ha commentato: “Non nego che possa esserci una terza via, ma deve essere indicata dallo Stato”. A questo punto, appare emblematico il momento dei saluti finali: alla stretta di mano i volti di Rajoy e Mas erano girati in verso direzioni opposte.

A 71 giorni dalla data fissata dal Parlamento della Generalitat de Catalunya, quindi, le posizioni non si sono avvicinate di un millimetro, ma nel frattempo qualcosa è accaduto e potrà ancora accadere. Rajoy ha ribadito che “saranno usati tutti i mezzi previsti dalla Costituzione” per impedire il referendum e la secessione (cavallo di battaglia di Mas nella corsa alla presidenza della Generalitat); l’Unione europea, attraverso il Commissario per il mercato interno e i servizi, Michel Bruer, ha detto che “una Catalogna indipendente sarebbe fuori dall’Ue, come stabiliscono i trattati”; la Corte Costituzionale ha giudicato “illegittima” la dichiarazione di sovranità approvata l’anno scorso dal Parlamento regionale, “perché è contraria alla Costituzione”.

Inoltre, proprio ieri, uno dei padri della Catalogna indipendente, Jordy Pujol i Soley, per 23 anni presidente della Generalitat, ha lasciato vitalizio, privilegi e incarichi di partito dopo essere stato travolto da uno scandalo enorme: un tesoro celato per decenni in banche Svizzere, frutto, secondo la magistratura, di fondi neri. È uscito di scena per non danneggiare il referendum, ha detto dopo aver sostenuto che quel tesoro lo ha ereditato (ma pochi sono propensi a credergli).

L’inflessibilità di Rajoy – ma sulla questione indipendenza anche il Psoe e altri partiti sono contrari – lascia pochi spazi a una ipotetica terza via ipotizzata da Mas, e, comunque, non sarebbe lo Stato a doverla indicare. Perciò toccherebbe a Mas cercare di convincere i suoi agguerriti alleati – Erc, Icu, Cup – a trovare una soluzione per uscire dall’impasse. Ci sono 23 richieste consegnate oggi e un buco di bilancio di 8,5 miliardi, il più alto tra quelli delle Regioni.

Infine, i sondaggi: da quello degli indipendentisti emerge che il 60 per cento dei catalani sarebbe favorevole alla secessione – ma il governo ricorda che i referendum vanno votati da tutto il popolo spagnolo – mentre quello nazionale e neutrale rileva che per tre cittadini su quattro la secessione della Catalogna è impossibile.

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