Ieri la Corte costituzionale ha pronunciato la sentenza n. 170/2014, che sicuramente riempirà da subito i repertori di giurisprudenza come la seconda grande pronuncia, dopo la n. 138 del 15 aprile 2010, sul tema dell’orientamento sessuale e dell’identità di genere.

La sentenza trae origine dalla nota vicenda di Alessandra Bernaroli, che una volta si chiamava Alessandro ed era sposato con Alessandra. In costanza di matrimonio, Alessandro decide di sottoporsi ad un procedimento di rettificazione dell’attribuzione di sesso, ma vuole continuare a mantenere in vita il proprio matrimonio, e così vuole sua moglie. Si verifica così una situazione paradossale: mentre chi vuole divorziare può rivolgersi in piena consapevolezza all’autorità giudiziaria per ottenere la separazione, nel caso delle due Alessandre il divorzio viene imposto dalla legge.

Esse dovranno quindi scegliere: o Alessandra decide di vivere come Alessandro, rinnegando la sua identità, oppure il suo legame coniugale con la moglie dovrà essere irrimediabilmente lacerato dal diritto, ledendo così anche i diritti della moglie. La conservazione del legame coniugale è quindi il prezzo che bisogna pagare per essere se stessi. Non si può avere l’uno e l’altro.

Questa non è certo una novità: è risaputo che chi ha un’orientamento sessuale o un’identità di genere non corrispondente a quelli della maggioranza della popolazione deve costantemente sacrificare parte dei propri diritti fondamentali, che invece tutti gli altri hanno, per assicurarsi una vita felice. 

Ebbene la Corte costituzionale, sollecitata in questo dalla Corte di Cassazione, ha ritenuto che, essendo in gioco due diritti degni di bilanciamento, la situazione delle due Alessandre fosse eccessivamente sbilanciata, e ne ha sancito l’illegittimità costituzionale. E’ pertanto incostituzionale imporre il divorzio a due persone sposate, di cui una abbia rettificato il sesso anagrafico.

A questo punto, il legislatore deve intervenire – dice la Corte senza mezzi termini – “con la massima sollecitudine per superare la rilevata condizione di illegittimità della disciplina in esame per il profilo dell’attuale deficit di tutela dei diritti dei soggetti in essa coinvolti”. In altre parole, il Parlamento deve approvare subito una legge che preveda una forma di convivenza registrata per le coppie dello stesso sesso, la quale, come aveva sottolineato la stessa Corte nella precedente sentenza n. 138, deve consistere in una disciplina robusta, completa e priva di sbavature sotto il profilo dell’uguaglianza con i diritti e i doveri già previsti per la coppia coniugata.

Una sentenza con una luce, ma anche diverse ombre. Ad esempio, vi è una sovrapposizione di piani tra l’imposizione del “paradigma eterosessuale” del matrimonio e il caso di specie, che invece riguarda un aspetto (l’identità di genere) ben distinto dall’orientamento sessuale, tant’è vero che Alessandra ha cambiato sesso ma continua ad amare una donna. Inoltre, del tutto ignorato è l’elemento della discriminazione rispetto alle coppie di sesso diverso, che invece non necessitano di sacrificare alcun diritto per vivere (e veder perdurare) il loro rapporto coniugale. 

Lascio però le ombre a un post successivo. Perché il lavoro straordinario che i colleghi di Avvocatura per i diritti Lgbti – Rete Lenford hanno fatto difendendo in giudizio le due Alessandre è encomiabile: il Parlamento ora dovrà necessariamente legiferare. La sirena dell’emergenza costituzionale è suonata. Non c’è più tempo, ed è il Giudice delle leggi ad affermarlo.

 

Nota bibliografica. Sulla vicenda segnalo la bella monografia della collega di Bergamo Anna Lorenzetti, Diritti in transito. La condizione giuridica delle persone transessuali e, soprattutto, i contributi raccolti dal primo numero della rivista GenIUS, la prima rivista italiana interamente dedicata alle tematiche giuridiche in tema di orientamento sessuale e identità di genere, curata dai colleghi del portale Articolo29 e scaricabile gratuitamente dal portale medesimo. Del caso mi sono occupato anch’io oltre due anni fa, con questa nota di commento.

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