In principio fu l’Ebolitana di Armando Cicalese, il capoultrà del ‘Nucleo 84’. Nell’estate 2004 acquista dalle mani del sindaco la società, appena retrocessa in Eccellenza. Ottomila euro per portarsi a casa la propria passione. Nel 2009 tocca all’Ultrattivi Altamura, squadra gestita dalla A alla Z dai tifosi. Esperimenti da pionieri che hanno tracciato il solco di un fenomeno già affermato in Europa, quello dei supporters’ trust. Tradotto: tifosi che si rimboccano le maniche e partecipano attivamente alla vita del club. L’Italia è un passo indietro rispetto al resto del continente ma il fenomeno inizia a germinare. Nell’ultimo week end se n’è parlato a San Benedetto del Tronto in un incontro organizzato dall’associazione ‘Noi Samb’ e da Supporters Direct, l’organizzazione che coordina a livello europeo le esperienze dei tifosi attivi.

Il tratto comune di tutte le esperienze italiane è il momento in cui i tifosi passano dagli spalti alla scrivania. Dalla Lombardia alla Puglia è sempre avvenuto con le squadre sull’orlo del fallimento. E’ il caso di Taranto quello più clamoroso e quello che finora ha dato maggiori frutti. Avviene tutto nella primavera del 2012. La squadra jonica in base ai risultati sul campo avrebbe vinto il campionato ma, penalizzata di 6 punti per problemi economici, rimane in LegaPro. La società rinuncia all’iscrizione alla stagione successiva ed è costretta a ripartire dalla D. In pochi mesi la Fondazione Taras passa da 32 a 500 soci e rileva il club per poi condividere le quote societarie con alcuni imprenditori locali, nessuno oltre il 50 per cento di partecipazione. Oggi Taras conta 2000 appartenenti, ha una quota d’ingresso popolare (10 euro) e controlla un quinto delle azioni. “La nostra presenza nella gestione della società è scritta nello statuto”, spiega Gianluca Greco, membro del consiglio direttivo del supporters’ trust tarantino. In maniera chiara: i membri di Taras hanno diritto a due consiglieri di amministrazione, possono porre il loro veto sulla sede, sui colori sociali e su eventuali fusioni. Oltre a nominare il collegio sindacale, una prerogativa che dà ampie garanzie circa il controllo dello stato di salute della società.

“Siamo una risorsa economica e umana – racconta Greco – Il primo anno abbiamo reclutato tra di noi gli steward, abbattendo i costi per la sicurezza all’interno dello stadio. Quest’anno ci siamo spinti oltre”. In estate, con un business plan di 85mila euro, i tifosi hanno preso in mano il settore giovanile. In poche settimane hanno creato due squadre dal nulla e oggi le formazioni giovanissimi e allievi sono nelle prime posizioni dei rispettivi campionati. “Team manager, fisioterapisti e altre figure dirigenziali sono tutti tifosi che si sono offerti volontari. Nel bilancio di una società calcistica, l’unica voce di spesa che può essere intesa come investimento è il settore giovanile. Ci sembrava giusto occuparcene in prima persona”, assicura Greco. Il perché è presto detto: “Per natura, i tifosi hanno un orizzonte temporale molto lungo nelle loro azioni. Prendere in mano i giovani è il risvolto concreto di un certo modo di fare calcio, quello che solitamente gli imprenditori non vedono perché spesso programmano il loro impegno nel breve periodo”.

Una storia simile è stata scritta ad Ancona, dove dal 2010 i tifosi controllano il 2 per cento delle quote attraverso l’associazione ‘Sosteniamo l’Ancona’ e hanno gli stessi diritti dei ‘colleghi’ tarantini, che proprio sull’avventura marchigiana hanno plasmato il loro statuto. Anche i supporters trust di Arezzo e Modena hanno rappresentanti nel consiglio di amministrazione. E a Lucca e Piacenza i tifosi hanno acquistato all’asta fallimentare il marchio della società.

All’estero, come spesso accade nel mondo del calcio, sono già molto avanti rispetto all’Italia. In Inghilterra il caso idealtipico è quello dell’Fc United: l’altro Manchester, nato come protesta contro la scalata del magnate americano Malcolm Glazer, e in generale contro le logiche del calcio moderno; una squadra in cui tutto è gestito dai tifosi. Ma anche a livello professionistico ci sono casi in cui i tifosi si sono organizzati e, grazie all’aiuto di Supporters Direct, hanno preso in mano le redini della loro squadra del cuore. L’Afc Wimbledon, ad esempio, nato nel 2002 dalle ceneri del glorioso Fc Wimbledon, dopo che il nuovo presidente aveva deciso di trasferire il club a Milton Keynes. Salendo di serie, invece, il caso più strutturato è quello dello Swansea, club gallese che milita nella massima serie inglese, la Premier League, e di recente è stato anche avversario del Napoli in Europa League. Nel 2001, quando la società era ad un passo dalla bancarotta a causa della cattiva gestione della vecchia proprietà, oltre 600 tifosi hanno deciso di costituirsi in un consorzio e di dare un contributo concreto al salvataggio e alla ricostruzione del club.

Grazie ad una raccolta fondi che ha superato l’ammontare di 50mila sterline, sono riusciti ad acquistare il 19,99% delle quote e a entrare nella società. E nel 2002 un accordo firmato con la nuova proprietà ha stabilito che la rappresentanza dei tifosi non possa essere eliminata né ridotta, a prescindere dagli eventuali futuri aumenti di capitale. Attualmente il trust costituisce il terzo principale azionista dello Swansea: tutti i fan che sottoscrivono un abbonamento annuale allo stadio diventano automaticamente soci del club, ed eleggono un proprio consigliere che rappresenta i loro interessi nel consiglio di amministrazione. A distanza di dieci anni dalla formazione del trust, il fallimento sembra un lontano ricordo: le finanze sono state risanate, e i tifosi hanno avuto modo di festeggiare anche i primi successi sportivi. Il club è tornato in Premier League nel 2012 e nel 2013 ha conquistato la Coppa di Lega inglese, risultando la seconda squadra gallese della storia a vincere un trofeo della Football Association, 86 anni dopo il Cardiff City. E quest’anno, nonostante l’eliminazione nei sedicesimi di finale contro il Napoli, è arrivato a disputare per la prima volta una competizione internazionale e a portare in giro per l’Europa la sua storia. Un messaggio per il calcio moderno, che può ancora appartenere ai suoi tifosi.

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